Cultura

Da Sciascia a Pirandello, l’arte di scomparire per divenire immortali

In una pagina memorabile, di un libro perfetto, Leonardo Sciascia descrive mirabilmente l’arte di scomparire. Attraverso le “immagini” del Mattia Pascal e di Vitangelo Moscarda la scena si sposta immediatamente nelle altissime vette letterarie dove si respira aria pura pirandelliana.

Stiamo parlando de La scomparsa di Majorana nel quale il protagonista (a sua insaputa, si direbbe oggi) sembra respirare la stessa aria “narrativa”,  ma evidentemente non è stato il solo… Paradossalmente si potrebbe parlare di “due, nessuno e centomila”.

Perché due? La risposta è semplice: il caso di Ettore Majorana è decisamente simile a quello di Federico Caffè. Due storie misteriose e due figure di primissimo piano in diverse discipline. Due protagonisti, nessuno convinto e centomila ipotesi.

La scomparsa di Majorana sta a Leonardo Sciascia come L’ultima lezione di Ermanno Rea sta a Federico Caffè. Si tratta di due indagini tese a ricostruire non solo la vicenda della scomparsa, ma soprattutto quella umana.

In questo quadro, si inserisce un nuovo libro, Memorie di un intruso di Bruno Amoroso allievo prediletto e amico del grande economista che svela il mistero della scomparsa come aveva provato a fare Sciascia con la sua ricerca.

Amoroso non risolve il giallo Caffè con una presunzione di verità, ma con una certezza assoluta e convincente: il professore si è ritirato in un convento, e tra le sue ultime letture, prima di scomparire, spicca proprio il libro dedicato alla scomparsa del fisico. E proprio in questo contesto lo scritto sciasciano torna a svettare con parole che insistono sul senso stesso vita realizzate attraverso una scultura letteraria, parole che evidentemente valgono anche per Federico Caffè.

“La scelta – di apparenza o reale – della ‘morte per acqua’, è indicativa e ripetitiva di un mito: quello dell’Ulisse dantesco. E il non far ritrovare il corpo o il far credere che fosse in mare sparito, era un ribadire l’indicazione mitica. Già lo scomparire ha di per sé, e in ogni caso, un che di mitico. Il corpo che non si trova e la cui morte, non potendo essere celebrata, non è ‘vera’ morte; o la diversa identità e vita – non ‘vera’ identità, non ‘vera’ vita – che lo scomparso altrove conduce, entrando nella sfera dell’invisibilità, che è essenza del mito, obbligano a una memoria, oltre che burocratica e giudiziaria (la ‘morte presunta’ viene dichiarata a cinque anni dalla scomparsa), di pietà insoddisfatta, di implacati risentimenti. Se i morti sono, dice Pirandello, ‘i pensionati della memoria’, gli scomparsi ne sono gli stipendiati: di un più ingente e lungo tributo di memoria. In ogni caso. Ma specialmente in un caso come quello di Ettore Majorana, nel cui mitico scomparire venivano ad assumere mitici significati la giovinezza, la mente prodigiosa, la scienza. E crediamo che Majorana di questo tenesse conto, pur nell’assoluto e totale desiderio di essere ‘uomo solo’ o di ‘non esserci più’; che insomma nella sua scomparsa prefigurasse, avesse coscienza di prefigurare, un mito: il mito del rifiuto della scienza“.

I fatti sono noti agli appassionati e agli addetti ai lavori; per coloro che si avvicinano per la prima volta a queste vicende intriganti  si rimanda alle opere citate per conoscere più da vicino, attraverso pagine come fotogrammi, la struttura cinematografica oscura e al tempo stesso schiarita da lanterne letterarie speciali. Lanterne in grado di illuminare il romanzo, il racconto, il documentario; insomma questi straordinari impianti narrativi possono assumere diverse forme, essendo una sorta di  “liquido letterario” pronto ad adattarsi al contenitore costituito dalla forte idea di fondo.

Si narra infatti di vicende enigmatiche che trasformano l’arte dello scomparire in quella dell’immortalità al pari di personaggi letterari tra i quali possiamo citare, tra tutti,  Don Chisciotte, lo sconfitto che vince continuamente su tutti e sul tempo, divenendo immortale.

Le anime discrete, afferma Zaoui nel suo L’arte di scomparire sono quelle che fanno il mondo: senza di esse, più nulla può reggere. Dobbiamo augurarci che non venga mai il giorno in cui anime simili scompariranno, schiacciate definitivamente dall’onnivisibilità, che non venga mai il giorno in cui rimarranno soltanto riflettori e casse di risonanza, perché allora tutto crollerà. È anche questo, afferma Zaoui, il senso del fare filosofia: cercare lo spirito del tempo, e dunque tutto ciò che tende a scomparire, a essere, appunto, discreto.

In una società che vive di apparenza e spettacolarità – aggiunge l’autore – la discrezione è una necessaria forma di resistenza. Spegnere i riflettori, abbassare il volume, godere dell’anonimato sono gesti politici prima che morali. La discrezione è un’arte, un atto volontario, una consapevole scelta di vita in un mondo che ci vorrebbe sempre connessi, protagonisti, inesorabilmente presenti, e in cui s’impone l’urgenza di una tregua, di staccare e sparire. Così è se ci pare; forse questa è stata la scelta di Ettore e Federico: scomparsi con discrezione per divenire immortali.