CREPARE DAL RIDERE CON L’UMORISMO INVOLONTARIO - 3/10
La risata più schietta è quella che nasce da una battuta non voluta, casuale, per nulla meditata. Umorismo involontario (Quodlibet) di Paolo Albani è la raccolta, in rigoroso e relativo ordine alfabetico, di tutte le categorie umoristiche in cui uomini noti e meno noti, istituzioni, e macchinari impersonali, hanno involontariamente regalato il meglio di sé per farci ridere. “Quando uno vuol fare o crede di fare una cosa seria e invece, o per errore, o per sbadataggine, o per ignoranza, o per caso, fa una cosa comica”, scriveva Achille Campanile. Si va così a botta sicura con l’ampolloso “burocratese” o con la più prosaica “toponomastica divertente” (a proposito esiste un paesino del mantovano che si chiama Chiavica Travata); con il sempreverde “refuso” o con le bizzarrie del “correttore automatico”; con la “gaffe” e i sublime “kitsch”, spiegati bene. Un posto al sole meritano però almeno quattro categorie canagliesche: l’ “italianizzazione”, ovvero quelle 1500 parole che tra il 1941 e 1944 il fascismo italianizzò dalle lingue straniere invaditrici (il vol-au-vent che diventa ventivolo nessuno la sapeva, o la squadra di calcio Internazionale che ça va sans dire già nel 1928 diventa Ambrosiana); i “pittori della domenica” (soggetti autodidatti con velleità artistiche che opera l’unico giorno della settimana in cui è libero da impegni di lavoro); e le “leggende metropolitane” (quelle che comprendono i celebri coccodrilli delle fogne di New York). L’epigrafe iniziale di Enrique Jardiel Poncela fa infine così: “Definire l’umorismo è come pretendere di trafiggere una farfalla adoperando quale spillo un palo telegrafico”.