OH CAPITANO, MIO CAPITANO - 8/10
Rarissimo che in Italia si leggano libri sul cinema. Ancor più raro che si legga una biografia su un cineasta, perlopiù non italiano. Ebbene, c’è un volumetto datato 1997, quindi nemmeno tanto in là, anche se sembrano secoli, intitolato Filmare l’anima – Il Cinema di Peter Weir, che invece andrebbe letto avidamente dalla prima all’ultima pagina. L’editore è Falsopiano, l’autore è il critico cinematografico, restauratore e gran gourmand Massimo Benvegnù. L’australiano Weir è il regista indipendente e libero, l’ultimo poeta romantico, che diresse L’attimo fuggente, The Truman Show, e Master and Commander. Ma anche quella meraviglia di Picnic ad Hanging Rock, lo storico Gli anni spezzati, e quel delirio ecologista di Mosquito Coast con un Harrison Ford dalla rara espressività in scena. Tra le pagine di Filmare l’anima, il ricordo personale e l’analisi storico cinematografica dell’autore si mescolano con la testimonianza diretta di Peter Weir, divenuto amico e confidente di Benvegnù nel corso degli anni. Si staglia così in solitaria lo spessore di un’artista che proprio nel difendere la sua personale ed intonsa poetica ha dovuto tenersi alla larga dagli studios e dalle sirene del guadagno facile, ritirandosi oramai del tutto, dopo The way back del 2010, dall’onorata attività di narratore di storie straordinarie. Per sapere se ci sarà anche solo un altro film diretto da Weir, citofonate Benvegnù: lui è probabilmente uno dei pochi che riceve telefonate e lettere cartacee (Weir non possiede smartphone e scrive senza ausilio di un pc) dalla lontana Australia.