Meno della metà dell'immondizia raccolta nel nostro Paese viene riciclata. E anche se il conferimento in discarica scende, aumenta l'uso dei termovalorizzatori. Forte divario tra Nord e Sud sulla presenza di impianti. Il 37% dei rifiuti bruciato nella sola Lombardia. Mentre la plastica è un caso: è più quella bruciata di quella riutilizzata. E i contribuenti ci perdono: lo studio indica che con alti tassi di differenziata, le bollette scendono
Riciclo zoppicante, impianti per i rifiuti organici non pervenuti, crescita della monnezza bruciata negli inceneritori. Il quadro delineato dall’ultimo rapporto Ispra sui rifiuti urbani non è positivo. Ancora oggi, infatti, meno della metà dell’immondizia urbana in Italia viene riciclata: parliamo di circa 13 milioni di tonnellate su un totale di quasi 30. Il 44% totale, somma del 18% di umido usato per produrre compost e biogas e del 26% di rifiuti in carta, plastica, vetro, legno e metalli avviati a seconda vita. C’è spazio per migliorare, ma intanto c’è soprattutto spazio per discariche e inceneritori, dove finisce principalmente tutto il resto dei rifiuti. Se la “sepoltura” in discarica continua a prevalere (26%), aumentano i rifiuti bruciati (19%, il 5% in più rispetto al 2014). E stando alla direzione impartita dal governo Renzi con lo Sblocca Italia, che prevede la costruzione di otto nuovi inceneritori, questo dato non potrà che crescere ancora. Anche se non conviene: come dimostrano i confronti fatti dall’Ispra, infatti, la bolletta diminuisce con l’aumento della raccolta differenziata.
Cresce l’umido, ma mancano gli impianti
Rispetto al 2014, l’anno scorso la percentuale complessiva del riciclo è cresciuta di tre punti, arrivando al 44%. Un risultato su cui ha pesato molto la raccolta dell’organico: gli avanzi di cibo, gli scarti della cucina e le potature trattati negli impianti per produrre fertilizzanti per l’agricoltura e biogas sono aumentati del 7% tra il 2014 e il 2015, raggiungendo l’anno scorso i 5,2 milioni di tonnellate. Con differenze molto ampie, però, tra le diverse zone d’Italia, dovute prima di tutto alla mancanza al Centro-Sud di siti di trattamento: “202 impianti dei 309 operativi a livello nazionale sono localizzati al Settentrione”, fa notare l’Ispra. Un quadro che poi si riflette nei numeri della raccolta: 122 chili pro capite al Nord, 101 al Centro e 70 al Sud. Secondo l’ultimo studio della società di consulenza Althesys sui rifiuti, “nel meridione 2,3 milioni di tonnellate di umido non sono ancora intercettate”, mentre se si avviasse a riciclo entro il 2020 circa il 70% dei rifiuti organici si potrebbe creare una vera e propria filiera del biogas con benefici economici per 1,3 miliardi di euro.
L’anomalia plastica: è più quella che si brucia di quella che si ricicla
Non è solo il riciclo dell’umido a crescere: gli imballaggi in plastica avviati a seconda vita sono aumentati nel 2015 del 10%, quelli in legno e carta del 5% circa. L’exploit della plastica nasconde però un’anomalia non da poco, perché quella bruciata è in realtà più di quella riciclata, il 44% contro il 41%. Colpa del proliferare di imballaggi in materiali misti difficili da riciclare, mentre mancano soluzioni per disincentivarli o investimenti in innovazione per tentare di avviarli a seconda vita. Così, mentre il riciclo di bottiglie, flaconi e pellicole nel 2015 ha raggiunto quota 870mila tonnellate, l’incenerimento, che cresce a un ritmo doppio dal 2011, ha sfiorato le 930mila. Non è un buon affare: in uno studio dell’agenzia Usa per l’Ambiente (Epa), spiega il docente dell’università di Bologna Alberto Bellini nel suo ultimo libro Ambiente clima e salute, infatti, “si mostra che l’energia risparmiata attraverso il riciclo è da due a sei volte superiore a quella recuperata con incenerimento”. Per la plastica delle bottiglie, nello specifico, il rapporto secondo l’Epa è di tre a uno.
Meno discarica, più inceneritori
L’aumento della combustione dei rifiuti non è una tendenza che vale solo per la plastica: nel 2015 è diminuito del 16% il ricorso allo smaltimento in discarica, ma in parallelo sono aumentati del 5% i rifiuti bruciati negli inceneritori, per un totale di 5,6 milioni di tonnellate. Oggi gli impianti sono in tutto 41, ma la distribuzione sul territorio nazionale non è omogenea: “Il 70% dei rifiuti viene incenerito al Nord, dove è localizzata la maggioranza degli impianti presenti sul territorio nazionale, l’11% al Centro ed il 19% al Sud”, calcola l’Ispra. La patria dei termovalorizzatori è la Lombardia, che da sola brucia il 37% dei rifiuti inceneriti in Italia, ricevendo “nei propri inceneritori circa 160mila tonnellate di rifiuti prodotte in altre regioni (principalmente Lazio e Campania). Anche l’Emilia Romagna riceve circa 140mila tonnellate di rifiuti da Toscana, Lazio, Veneto, Lombardia e Abruzzo”. A dare una mano al proliferare di rifiuti da mandare ai forni ci pensano i Comuni che ancora non hanno introdotto servizi di raccolta differenziata per alcuni tipi di rifiuti attraverso gli ecocentri municipali: quella di apparecchiature elettriche ed elettroniche, per esempio, al Sud manca ancora nel 28% dei Comuni, mentre oltre il 33% delle amministrazioni del centro Italia non si occupa di raccogliere in modo differenziato il legno. Per le tasche dei cittadini non è per niente un affare: analizzando i costi per l’igiene urbana, infatti, il rapporto Ispra mostra che passando da una situazione in cui la raccolta differenziata è compresa tra il 20% e il 40% a uno scenario in cui questa supera il 60%, i risparmi in bolletta sono consistenti. Per i comuni con una popolazione compresa tra i 50 ed i 150 mila abitanti, per esempio, “il costo scende da 213,41 a 170,35 euro/abitante per anno”.