Il magistrato sul crac dell'istituto guidata dal senatore per vent'anni: "La crisi di legalità ebbe effetti devastanti sulla tenuta economica". Il leader di Ala, dopo essere stato ripreso dai giudici, si scusa per un gesto di stizza in aula
“Sosterremo che lei è un truffatore che ha fatto carte false per acquisire i contributi per l’editoria“, “il nostro mestiere è attribuire colpe. E lei, Verdini, ha rovinato una banca, piccola ma importante”. A pronunciare queste frasi in tribunale a Firenze è stato il pm Luca Turco nella requisitoria del processo sul crac del Credito cooperativo fiorentino, del quale il leader e senatore di Ala Denis Verdini è stato presidente vent’anni. Verdini è imputato insieme a altre 42 tra amministratori e dirigenti dell’istituto accusati a vario titolo di associazione a delinquere, bancarotta fraudolenta, appropriazione indebita, truffa. Turco ha illustrato i rapporti delle ispezioni di Banca d’Italia al Ccf sostenendo che “la crisi di legalità” rilevata dai pubblici ufficiali di Bankitalia “ebbe effetti devastanti sulla tenuta economica del Credito cooperativo fiorentino, una crisi tutta da imputarsi alla governance della banca”.
L’inchiesta era nata dalle procedure di Bankitalia. L’inizio fu una delibera della Banca d’Italia del 2010 con cui era stata proposta al ministero dell’Economia la procedura di amministrazione straordinaria per gravi irregolarità nell’amministrazione e gravi violazioni normative”. Da lì partì il commissariamento della banca, ma anche la contestazione a Verdini un conflitto d’interessi pari a 60,5 milioni di euro. Nel 2012 l’istituto scompare definitivamente e le attività sono acquisite da Chiantibanca.
Quella di oggi è la seconda udienza di 4 già fissate dedicate alla discussione finale del pubblico ministero. Il processo è molto delicato per Verdini, già condannato per corruzione per la vicenda della costruzione della Scuola dei Marescialli a Firenze e poi prescritto prima che arrivasse il giudizio d’appello. Quest’altra vicenda è forse ancora più complicata per l’ex braccio destro di Berlusconi (e il garante delle riforme di Renzi). E anche per questo nella scorsa udienza Verdini si lasciò andare a un gesto di stizza, in tribunale. Il pm – in quel caso Giuseppina Mione – aveva infatti parlato dei rapporti tra il senatore e il costruttore Riccardo Fusi a sua volta imputato, alla richiesta di camere per i figli del parlamentare in alberghi dello stesso Fusi. Un passaggio-esempio, tratto da intercettazioni già note, dei presunti favori che sarebbero intercorsi tra l’ex coordinatore di Fi e Fusi. Lì Verdini aveva perso il controllo: si è alzato dal banco degli imputati, ha accelerato verso l’uscita dal tribunale, non ha sbattuto la porta ma è mancato poco. “E’ una vergogna” ha detto sulla soglia della porta, imprecando tra i denti. E quando gli hanno chiesto perché ha spiegato: “Ha toccato i miei figli“. Una reazione notata da tutti in aula e infatti il presidente del collegio giudicante, Mario Profeta ha prima detto al legale di Verdini che “così non va” e poi ha aggiunto: “Non voglio mai più assistere a scatti d’ira e gesti plateali come quello di prima. La vicenda è chiusa qui”.
Oggi Verdini si è scusato: “E’ stata una mia debolezza umana – ha detto in aula – In questi sette anni le telefonate intercettate relativa ai miei figli sono finite tante volte sui giornali. Purtroppo questa è stata una mia debolezza, chiedo scusa per quel comportamento”. Il giudice Profeta ha accettato le scuse dicendo anche che “eravamo certi che certe cose non si fanno” in un aula di tribunale “e che presto avremmo chiarito tutto”. Il pm Luca Turco si è rivolto allo stesso senatore: “Verdini, lei frequenta ambienti, mi riferisco alle aule parlamentari, dove il confronto è aspro. Ma anche nelle aule giudiziarie accade così: qui non possono esserci gesti da educande del secolo scorso. Compito della pubblica accusa è anche fornire indizi minori“. “Fusi – ha proseguito il pm Turco – ha caricato i costi dei soggiorni dei suoi figli (di Verdini, ndr), sulla società di BF Servizi. Non era quello un gesto di amicizia ma relazione di affari”.