La Corte costituzionale respinge in toto il ricorso presentato dalla Regione Veneto e in 12 punti su 14 quello della Puglia. Incostituzionali solo i commi 153 e 181, rispettivamente quello sulle “Scuole innovative” e quello sulla “delega per il ciclo 0-6 anni”
La “Buona scuola” è incostituzionale. Anche se solo per quei punti che nessuno aveva mai contestato, ovvero l’edilizia scolastica e la riforma degli asili. A stabilirlo è la Consulta, in una sentenza che pur mettendo in rilievo ancora una volta la superficialità del governo (un po’ come successo già per la riforma Madia), salva di fatto l’impianto complessivo della Legge 107. E infatti viene salutata con soddisfazione dal Ministero dell’Istruzione, che temeva di ritrovarsi smontata la riforma. Invece dovrebbero bastare un paio di aggiustamenti per recepire il parere.
La Corte Costituzionale si è pronunciata sui famosi ricorsi contro la “Buona scuola” che erano stati presentati dalla Regione Veneto e dalla Regione Puglia circa un anno fa. L’ultimo strumento normativo per opporsi alla riforma firmata da Stefania Giannini e Matteo Renzi, visto che i vari tentativi di promuovere un referendum sono tutti falliti. Sul tavolo della Consulta erano finiti una decina di commi della Legge 107, tutti contestati per ragioni differenti. I giudici hanno respinto in blocco il ricorso del Veneto, e accolto in due punti (su 14) quello della Puglia del governatore Michele Emiliano. Secondo la sentenza 284/2016 la “Buona scuola” è in effetti incostituzionale per il comma 153 e 181, rispettivamente quello sulle “Scuole innovative” e quello sulla “delega per il ciclo 0-6 anni”. Per quel che riguarda l’edilizia scolastica, il governo avrebbe dovuto acquisire il parere della Conferenza Stato-Regioni prima della ripartizione dei fondi; ancor più complesso il discorso per la riforma degli asili, il cui testo stabilirebbe tutta una serie di “standard strutturali, organizzativi e qualitativi dei servizi educativi per l’infanzia a livello nazionale”, che però rientrano nelle competenze del legislatore regionale. Una duplice invasione di campo, insomma.
I docenti (e in fondo le stesse Regioni che avevano presentato ricorso), però, attendevano il giudizio su altri punti più caratterizzanti della Legge 107, che in caso di bocciatura da parte della Consulta avrebbero fatto saltare la riforma. Invece la Corte Costituzionale ha respinto tutte le altre contestazioni: su chiamata diretta, ambiti territoriali e bonus di merito (le novità più avversate da sindacati e professori) non ci sono vizi di costituzionalità. La “Buona scuola” è salva. Anche perché il Miur sostiene di aver già ottemperato anche alla prima obiezione sollevata dai giudici sulla ripartizione dei fondi per l’edilizia, avendo avviato subito dopo l’iter della conferenza per quel che riguarderà le prossime assegnazioni.
Paradossalmente, dunque, la sentenza della Consulta rischia di avere effetti concreti solo sull’unico provvedimento mai osteggiato e realmente atteso dal mondo della scuola: la delega per l’infanzia, che avrebbe dovuto istituire in tutto il Paese i nuovi centri per l’istruzione da 0 a 6 anni, creando anche posti di lavoro in più. Lo spirito del testo promosso dalla senatrice Francesca Puglisi e sposato anche dai Comuni era proprio quello di creare uno standard nazionale per gli asili, così da sanare le enormi discrepanze territoriali che esistono tra Nord e Sud. Ma il progetto evidentemente si scontra con la normativa sulle competenze regionali. Con i soldi già stanziati nella Legge di bilancio, la delega avrebbe dovuto essere l’unico atto firmato senza indugi dal nuovo ministro Valeria Fedeli. Invece a questo punto verrà prorogato come tutte le altre riforme in sospeso nel Milleproroghe. Ipotizzando che il governo Gentiloni duri abbastanza per trovare una soluzione.