Al voto si è arrivati dopo un braccio di ferro tra l'amministrazione Obama e il governo di Benyamin Netanyahu, che si è persino rivolto al presidente americano eletto Donald Trump per tentare di scongiurare il passaggio del testo attraverso il veto degli Usa
Storica astensione degli Stati Uniti all’Onu, grazie alla quale il Consiglio di sicurezza ha approvato una risoluzione di condanna degli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Al voto si è arrivati dopo un braccio di ferro tra l’amministrazione Obama e il governo di Benyamin Netanyahu, che si è persino rivolto al presidente americano eletto Donald Trump per tentare di scongiurare il passaggio del testo attraverso il veto degli Usa. Ma così non è stato. Stavolta Barack Obama ha fatto seguire alle parole i fatti. E, dopo aver criticato più volte la politica di Israele sulle colonie nella West Bank, ha deciso di dare un segnale forte come non mai, permettendo il varo di una decisione in cui si afferma che gli insediamenti non hanno una validità legale e ostacolano il processo di pace in Medio Oriente.
L’ira di Israele – che aveva già definito “vergognosa” l’attesa mossa di Obama alla vigilia del voto – non si è fatta attendere, con l’ambasciatore presso il Palazzo di Vetro che ha parlato di “risoluzione scandalosa“. Mentre l’annuncio dell’astensione Usa da parte dell’ambasciatrice americana Samantha Power è stata accolta nella sala dei Quindici con un’ovazione: “Gli Stati Uniti – ha detto – non possono sostenere allo stesso tempo gli insediamenti israeliani e la soluzione dei due Stati, uno israeliano e uno palestinese”.
Per Obama si tratta di una piccola-grande rivincita dopo aver fallito nel favorire i negoziati tra israeliani e palestinesi, fin dal 2009 la sua priorità numero uno in politica estera. Con la decisione di dare carta bianca al Segretario di stato John Kerry la cui missione era di portare a casa una storica pace. Così non è stato, anche a causa dei gelidi rapporti tra Obama e Netanyahu che hanno fatto precipitare le relazioni tra Usa e Israele ai minimi di sempre. Neppure Donald Trump è riuscito a fermare il voto dell’Onu o a convincere la Casa Bianca a presentare il veto come in passato. A lui si è rivolto il governo israeliano quando oramai si era capita l’intenzione di Obama. Il tycoon – con un’ interferenza senza precedenti per un presidente eletto – ha provato il tutto per tutto, telefonando anche al presidente egiziano al Sisi che aveva presentato la risoluzione originaria. Una chiamata che in effetti ha portato l’Egitto a rinunciare al voto nella giornata di giovedì. Ma a distanza di poche ore sono stati altri quattro Paesi a ripresentare il testo (Malesia, Nuova Zelanda, Senegal e Venezuela). A quel punto i giochi erano fatti. La risoluzione è passata con 14 voti e l’astensione degli Usa. E dire che nel 2011 l’amministrazione Obama era invece ricorsa al veto contro una simile condanna della politica israeliana sulle colonie. Mentre ha posto il veto in Consiglio di sicurezza altre 40 volte su risoluzioni critiche verso Israele. L’unica astensione Usa che si ricordi risale all’amministrazione Bush nel 2009, quando gli Usa non posero il veto sui un testo sul cessate il fuoco nella Striscia di Gaza. “Per quel che riguarda l’Onu, le cose andranno diversamente dopo il 20 gennaio” su Twitter Donald Trump.
As to the U.N., things will be different after Jan. 20th.
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 23 dicembre 2016