"I fondamentalisti reagiscono alla situazione di stallo totale dei loro Stati d'origine - spiega il docente di islamistica dell'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano - dove il dissenso politico non si è mai potuto esprimere attraverso partiti, sindacati, associazioni libere"
“Basterebbe conoscere un po’ di storia per convincersi che la religione è solo un pretesto e le vere motivazioni vengono da tutt’altra parte”. Ne è convinto il professor Paolo Branca, docente di islamistica all’Università Cattolica di Milano e responsabile della sezione per i rapporti con l’islam per l’arcidiocesi di Milano.
Come interpreta i due attentati di Ankara e di Berlino? Sono collegati?
“Sono due cose totalmente diverse: ad Ankara è stata una reazione contro la politica di Erdogan che si è avvicinato alla Russia e all’Iran (nemici storici del suo paese) per impedire ai curdi siriani di controllare una fetta del Paese del resto vicino a una spartizione, in barba al fatto che la maggioranza dei curdi siano musulmani sunniti… A Berlino è andata in scena invece l’ennesima follia antioccidentale e anticristiana di qualche disperato cui è stato fatto il lavaggio del cervello puramente per seminar panico e a scopo dimostrativo”.
Secondo lei, da dove nasce questo disagio verso l’Occidente?
“L’assenza di alternative per una ‘patria’ (Umma) araba o musulmana può indurre una minoranza di esclusi o di depressi a ‘farsi eroi’ per una causa percepita quale estrema resistenza di popoli oppressi contro palesi ingiustizie come la distruzione di un intero Paese, del resto quotidianamente documentata da anni negli stessi media occidentali. ‘Mi domando in che modo le grandi potenze permetteranno agli Arabi di fare il loro cammino’, si domandava il mitico Lawrence d’Arabia un secolo fa, dopo aver convinto gli arabi a combattere al nostro fianco contro i turchi durante la prima guerra mondiale. Gli stessi confini dei neonati Stati arabi furono decisi dai colonizzatori, per non parlare dei governi cui una serie di colpi di Stato militari misero poi fine 50/60 anni dopo per dar vita a dittature monopartitiche messe in crisi solo in parte dalle recenti ‘Primavere'”.
Quindi il fondamentalismo è una risposta a questo malessere?
“E’ una reazione disperata e controproducente alla situazione di stallo totale dei loro Paesi d’origine, dove il dissenso politico non si è mai potuto esprimere attraverso partiti, sindacati, associazioni libere, anche grazie all’appoggio occidentale che ha sempre preferito despoti locali addomesticati a veri leader cui stesse a cuore lo sviluppo della società civile, dannosa per la loro corruzione e incapacità, ma utile a mantenere lo status quo per decenni. La Umma, sia araba che islamica, è un mito che però affascina coloro che pensano all’antica grandezza paragonata alla desolante situazione del periodo moderno e contemporaneo da cui sembrano salvarsi solo le petromonarchie del Golfo, che è difficile considerare Stati di diritto e che sono stabili solo grazie ad apparati di repressione impressionanti, salvo rari casi quali l’Oman”.
Da una parte abbiamo chi auspica che “questa gente se ne vada” e sovrappone la questione dell’immigrazione a quella del fondamentalismo. In Europa i partiti populisti sono in prima fila a chiedere lo stop degli ingressi. Cosa ne pensa?
“Confondere immigrati regolari, clandestini, rifugiati è un trucco di bassa lega ma che colpisce l’emotività della gente, anche a fronte di politiche di integrazione fiacche o inesistenti e al gran circo mediatico che si focalizza su singoli episodi negativi e nega la realtà di quanto invece va in direzione opposta: il 25% dei frequentatori dei circa 1.000 oratori ambrosiani sono musulmani, ma solo il singolo stupido che non fa il presepe per Natale assurge per giorni interi agli onori della cronaca”.
“E’ per Aleppo”, ha gridato il poliziotto turco, dopo aver ucciso l’ambasciatore russo. Il Medio Oriente pare non essere mai stato così vicino a noi come oggi.
“Medioriente e Nordafrica sono il giardino di casa di un’Europa fatiscente che assiste con indifferenza criminale alla distruzione di interi Paesi dirimpettai, i cui disperati non andranno certo né in Russia né negli Usa, ma la nostra dipendenza da altrui interessi è ormai palesemente una resa totale e ne stiamo già pagando il prezzo”.
Cosa non siamo riusciti a capire dell’Isis? Basta interrompere i finanziamenti per risolvere il problema, anche se i terroristi provengono da fasce disagiate della nostra popolazione?
“Apprendisti stregoni soffiano sulla brace che è fatta anche di esclusi, mitomani, psicopatici… ma la nostra reazione è persino più desolante: una circolare del Ministero della Giustizia dello scorso gennaio, di cui ho saputo solo qualche settimana fa, chiedeva alle università di rintracciare persone che sapessero l’arabo per intervenire come volontari nelle carceri onde prevenire la radicalizzazione dei detenuti: se non fosse drammatico, sarebbe comico. I terroristi di cui parlano quotidianamente i media non possono e non devono essere contrastati da qualche volonteroso e a titolo gratuito, una strategia da repubblica delle banane. Sono 9 anni che cerco di far qualcosa nelle carceri milanesi coi detenuti arabi senza alcun esito. Anzi, ormai non entro più nel mio studio per gli scatoloni di libri arabi garantiti e classificati da me che non riesco neppure a regalare alle biblioteche dei penitenziari. Ormai non mi chiedo più neanche il perché”.