Le indagini sull’attentato di Berlino continuano senza sosta in Italia e si spostano anche verso la Tunisia. Paese di origine di Anis Amri, il 24enne autore della strage nel mercatino di Natale della capitale tedesca, ucciso alle porte di Milano durante uno scontro a fuoco con la polizia. I media tunisini – nel giorno in cui la salma di Fabrizia Di Lorenzo rientra in Italia – rilanciano la notizia che le forze di sicurezza hanno smantellato ieri una presunta cellula terroristica composta da tre membri di età tra i 18 ed i 27 anni, attiva tra Fouchana nel governatorato di Ben Arous, e Oueslatia, in quello di Kairouan. Il ministero dell’Interno ha fatto sapere che tra gli arrestati c’è anche il nipote del presunto killer di Berlino, che ha confessato, durante gli interrogatori di polizia, di aver comunicato con lo zio via Telegram per aiutarlo al fargli eludere i controlli di polizia. Amri, ricercato in tutta Europa e auto del video di rivendicazione dell’attentato, è riuscito a lasciare la Germania, transitare con ogni probabilità in Francia e arrivata in Italia, indisturbato. Per questo sono state acquisite le immagini di sicurezza di almeno sei stazioni ferroviarie italiane. Ricostruire il percorso di fuga del giovane jihadista permetterà di capire meglio cosa ha fatto nelle ore successive alla strage e come abbia potuto girare per l’Europa e varcare, armato e senza documenti, più di un confine.
Sim è “pulita”, l’autopsia: “Due colpi”, detective tedeschi a Milano
Intanto le indagini della Digos di Milano e di tre procure Monza, Milano e Roma hanno accertato che la sim, trovata nello zaino di Amri, è “pulita” e non è mai stata usata. Inquirenti e investigatori, coordinati Alberto Nobili e dai pm Paola Pirotta e Piero Basilone, stanno cercando di capire come mai sia sceso a Torino dal treno proveniente dalla Francia e che comunque era diretto a Milano, per prendere un regionale per raggiungere la stazione Centrale. Al momento, poi, tutti gli elementi raccolti convergono sul fatto che il tir utilizzato per la strage al mercatino di Berlino sia stato sequestrato da Amri quando si trovava già in Germania.
Dai risultati dell’autopsia effettuata all’Istituto di medicina Legale di Milano emerge che l’uomo è stato raggiunto da due colpi, uno alla testa e uno al torace, quest’ultimo mortale. In corso anche gli esami sull’arma, una calibro 22, che il tunisino ha usato contro i poliziotti per stabilire se è la stessa usata per freddare Lukasz Urban l’autista polacco del camion usato per la strage a Berlino. A Milano intanto sono anche arrivati i detective tedeschi per una riunione con gli uomini della Digos. A cinque giorni dall’attacco la polizia criminale tedesca ha reso noto la nazionalità delle vittime: si tratta di sette tedeschi, l’italiana Fabrizia Di Lorenzo, un’israeliana, una ceca, l’autista polacco del tir usato per l’attentato) d un ucraino. Alcuni degli oltre 50 feriti restano ancora in gravi condizioni. Un camionista dello Yorkshire, Dave Duncan, ha lanciato una raccolta fondi per la famiglia dell’autista che ha lottato fino all’ultimo per evitare la strage al mercatino di Natale di Berlino. Oltre 7.000 persone hanno aderito alla campagna di solidarietà su gofundme e sono state raccolte già 110.000 sterline (circa 130.000 euro). “Non conoscevo Lukasz, ma la sua storia mi ha scioccato e così da collega ho rivolto un appello a tutta la comunità di camionista”, ha spiegato all’Independent Duncan. Urban ha lasciato la moglie Zuzanna e un figlio di 17 anni.
Il nipote di Amri: “Mi voleva reclutare”
Secondo i media tunisini, che citano il ministero, il nipote di Amri avrebbe rivelato di essere stato reclutato dallo zio e convinto a adottare l’ideologia takfirita (un pensiero estremista islamico, strettamente legato all’idea di jihad) domandandogli di prestare fedeltà all’Isis, cosa che poi avrebbe fatto inviando un testo scritto su Telegram.
Il nipote di Anis Amri ha raccontato anche che lo stesso gli avrebbe inviato un’importante somma di denaro attraverso le poste e fornito un’identità falsa, per fargli avere i mezzi finanziari sufficienti per raggiungerlo in Germania e arruolarsi in una cellula tedesca dell’Isis, quella di Abu Al Wala, della quale, a suo dire, sarebbe stato l’emiro. Per gli arrestati il pubblico ministero ha disposto la custodia cautelare in carcere con l’accusa di presunta appartenenza ad una organizzazione terroristica. La Sueddeutsche Zeitung, subito dopo l’attentato, aveva riveltao che che in Nordreno-Vestfalia Amri aveva stretto contatti proprio con il gruppo dell’iracheno “predicatore senza volto” e nome di peso della scena salafita tedesca, a capo di una cellula di reclutatori per l’Isis e arrestato a Hildesheim lo scorso 8 novembre. Dalla Spagna arriva la notizia di indagini per possibili collegamenti con altri estremisti nel Paese dopo un’informazione che Madrid ha ricevuto dalle autorità tedesche. “Stiamo esaminando tutte le possibili connessioni tra Amri e il nostro Paese, soprattutto – ha detto il ministro dell’Interno spagnolo, Juan Ignacio Zoido, a radio Copecon – una persona specifica”.
Gabrielli: “Nessuna esposizione dei due agenti”
Intanto in Italia, mentre proseguono le indagini dell’Antiterrorismo e di tre procure Monza, Milano e Roma, il capo della Polizia Franco Gabrielli interviene sulla polemica scoppiata per la diffusione dei nomi dei due agenti, che durante un controllo casuale hanno fermato Amri: “Non c’è alcuna esposizione, ma un riconoscimento chiaro. Una sottolineatura per mettere al centro chi ha reso possibile tutto questo, rischiando la propria vita. Fare i nomi con questo tipo di terrorismo – spiega il capo della Polizia – non è né un errore né un’esposizione, perché non siamo in presenza di un terrorismo come quello che abbiamo conosciuto negli anni settanta, un terrorismo endogeno che ha interesse a colpire il singolo, dunque Franco piuttosto che Mario o Christian. Qui ci troviamo di fronte a qualcosa di diverso”. La preoccupazione, infatti, “non è per le individualità, ma per l’appartenenza: sono a rischio tutti coloro che rappresentano le forze di polizia e hanno una divisa”. È stato dimesso dall’ospedale San Gerardo di Monza Christian Movio, l’agente rimasto ferito nel conflitto a fuoco con il terrorista di Berlino. I medici che lo hanno operato per estrargli un proiettile dalla spalla destra hanno comunicato che le sue condizioni sono ottime e che presto potrà tornare in servizio.