L’Italia come crocevia di stragisti? Anis Amri, l’attentatore di Berlino, conosceva bene il nostro paese per aver passato quasi quattro anni nelle carceri siciliane ed è a Milano che il tunisino è morto. E non è l’unico autore di stragi jihadiste ad aver avuto a che fare con il nostro Paese. Dall’attentato di Nizza a quelli di Parigi e Bruxelles, anche le strade di altri terroristi legati allo Stato islamico portano nella penisola. Nelle tante indagini aperte da diverse procure sull’estremismo di matrice islamica, l’Italia emerge come un centro importante di supporto logistico e di fornitura di documenti falsi per i combattenti. In diverse aree, soprattutto al Nord, ci sono reti di fiancheggiatori del Califfato e le tracce lasciate dai killer di recenti episodi stragisti hanno portato anche nel nostro Paese, già prima della vicenda di Berlino.
Dall’attentatore di Nizza a quello di Bruxelles i passaggi in Italia
L’ultimo caso è quello dell’attentato sulla Promenade des anglais di Nizza, nella notte del 14 luglio scorso, realizzato con modalità analoghe a quello della capitale tedesca: un camion lanciato contro una folla di civili. L’autista, anche lui tunisino, Mohamed Lahouaiej Bouhlel, era stato fermato nel 2015, per un controllo, dalla polizia italiana alla frontiera di Ventimiglia. Venne identificato a bordo di un’auto. L’uomo, che non aveva pendenze e non era schedato come soggetto potenzialmente pericoloso, era stato fatto passare. Secondo notizie di fonte francese, il tunisino viaggiava regolarmente in Italia, insieme dal altri uomini, per portare del cibo ai migranti siriani accampati vicino al confine.
Si torna indietro di pochi mesi e si arriva al 22 marzo 2016, giorno del doppio attentato all’aeroporto e ad una stazione metro di Bruxelles. Protagonista di uno degli attacchi suicidi è Khalid el Bakraoui, belga di origine marocchina. Indagini hanno rivelato che nel luglio del 2015, l’uomo è atterrato all’aeroporto di Treviso con un volo Ryanair proveniente da Bruxelles e successivamente ha pernottato a Venezia. Bakraoui faceva parte della stessa cellula che organizzò anche gli attentati di Parigi del 13 novembre 2015. Di uno degli autori, Salah Abdeslam, l’unico sopravvissuto, belga di origine marocchina, viene registrata la presenza l’1 agosto dello stesso anno a Bari, in auto con un amico, per imbarcarsi verso la Grecia. Nei quattro giorni successivi l’uomo sparisce – gli investigatori ipotizzano possa essere arrivato anche in Siria – e si ripresenta a Bari con un traghetto proveniente dalla Grecia il 6 mattina. Nel suo viaggio di ritorno verso Bruxelles utilizza tre volte la carta di credito, per fare rifornimento, e poi lascia l’Italia.
Diversi episodi, dunque, sui quali gli investigatori italiani – in collaborazione con quelli degli altri Paesi coinvolti – stanno lavorando da tempo per ricostruire appoggi e complicità godute dagli attentatori nel territorio nazionale.
Il “codice segreto” di Amri
Intanto mentre in Italia proseguono senza sosta le indagini della Digos, dalla Tunisia nel giorno di Natale è arrivata la notizia che le forze antiterrorismo tunisine hanno interrogato tre persone che si presume legate al killer di Berlino. Il pubblico ministero ha disposto nei loro confronti un provvedimento di fermo in attesa della loro comparizione di fronte al giudice istruttore. Secondo le stesse fonti i tre sarebbero stati fermati tra Tunisi e Oueslatia e l’operazione sarebbe stata compiuta in collaborazione con le autorità italiane e tedesche dopo aver decifrato un codice segreto usato da Amri. Il 24 dicembre in Tunisia era stato arrestato il nipote di Amri. Il giovane, secondo quanto riportato dai media tunisini, avrebbe rivelato di essere stato reclutato dallo zio e convinto a adottare l’ideologia takfirita (un pensiero estremista islamico, strettamente legato all’idea di jihad) domandandogli di prestare fedeltà all’Isis, cosa che poi avrebbe fatto inviando un testo scritto su Telegram. Il nipote di Anis Amri ha raccontato anche che lo stesso gli avrebbe inviato denaro attraverso le poste e fornito un’identità falsa, per fargli avere i mezzi finanziari sufficienti per raggiungerlo in Germania e arruolarsi in una cellula tedesca dell’Isis, quella di Abu Al Wala, della quale, a suo dire, sarebbe stato l’emiro.