Un complesso processo di riforma interessa ormai da anni l’organizzazione sul territorio dei servizi di trasporto pubblico. Le iniziative delle Regioni si sono spesso arenate per i contenziosi dovuti a normative nazionali ed europee mutevoli. Ma il sistema ha necessità di una cornice coerente.
di Patrizia Lattarulo (da www.lavoce.info)
La riforma infinita
L’organizzazione sul territorio dei servizi di trasporto pubblico locale è oggetto da anni di un processo di riforma che sembra oggi farsi più concreto con il nuovo Testo unico, anche in virtù della crisi delle finanze pubbliche. A partire dalla fase di avvio del processo, le regioni italiane hanno sperimentato strade diverse, con esiti eterogenei. Tuttavia, ciò che le accomuna sembra essere la difficoltà nel concludere il riassetto in un quadro di incertezza e mutevolezza normativa che caratterizza tanto il livello nazionale quanto quello comunitario.
Nel corso degli anni Settanta, alcuni eventi (crisi energetiche, creazione delle regioni) hanno messo in discussione gli elementi economici e organizzativi fondamentali del settore trasporti. Così già all’inizio del decennio Ottanta (legge 151/81) si è tentato di introdurre una spinta verso l’efficienza e l’economicità del servizio.
Il successivo tentativo di riforma organica si ha con il decreto legislativo n. 422/97 (cosiddetto “Burlando”), ispirato alla separazione delle funzioni di indirizzo, programmazione e controllo da quelle di gestione e alla trasformazione verso un modello di “concorrenza per il mercato” che è rimasto in gran parte lettera morta. Solo in anni più recenti, la forte contrazione delle risorse pubbliche ha comportato una spinta forzosa verso una razionalizzazione del servizio.
A livello europeo, il settore è stato disciplinato con il regolamento Ce n. 1370/2007. L’attenzione della nuova disciplina europea è prevalentemente rivolta alla garanzia dell’adempimento degli obblighi di servizio pubblico, indipendentemente dalla modalità di affidamento. Il regolamento, infatti, non vieta l’affidamento in forma diretta del servizio (o anche la gestione in house). L’ambiguità dell’impostazione europea rende certo più complesso un processo di riforma che dovrebbe convergere verso un mercato unico europeo.
Nel febbraio 2016 sono stati pubblicati i decreti attuativi della riforma Madia della pubblica amministrazione, compreso il decreto che costituisce il Testo unico sui servizi pubblici locali di interesse economico generale. Il decreto introduce rilevanti novità per tutti i servizi pubblici locali volte a garantire la concorrenza e la libertà di prestazione dei servizi, e misure di premialità dirette a favorire la concorrenza per l’affidamento dei servizi tramite procedura di gara a evidenza pubblica.
Il testo prevede anche principi di efficienza nella gestione, efficacia nella soddisfazione dei bisogni dei cittadini, costi standard, investimenti in innovazione tecnologica. Le norme specificatamente dedicate al trasporto pubblico locale prevedono invece l’individuazione di bacini e livelli adeguati dei servizi, incentivi per il rinnovo del materiale rotabile, la modifica dei criteri di riparto del fondo per il trasporto pubblico locale, nonché norme in materia di efficienza gestionale e tutela degli utenti. La normativa riprende molti punti delle procedure di gara messe in atto dalle regioni. Tuttavia, la recente sentenza della Corte costituzionale (n. 251/16) inserisce un ulteriore elemento di incertezza sul destino del settore.
Le riforme regionali
All’interno di questo mutevole quadro normativo e organizzativo, molte regioni hanno avviato progetti di riforma, scontando tuttavia numerose difficoltà nella loro realizzazione. Le figure 1 e 2 riportano, rispettivamente, la situazione dei bacini di programmazione e dei lotti di gara per l’affidamento del servizio attualmente presenti nelle regioni italiane.
È evidente l’estrema eterogeneità. In diverse regioni, la situazione è ancor più complicata dalle intricate vicende concorsuali (tabella 1), che hanno portato all’arresto o all’annullamento delle procedure per i ricorsi presentati dalle aziende o in autotutela dagli stessi enti appaltanti.
C’è dunque la necessità di fornire al sistema una cornice coerente, nella quale iscrivere le diverse esperienze regionali e consentire di procedere alle fasi operative con una ragionevole aspettativa di non incorrere in profili di incoerenza (e quindi in lunghe procedure di contenzioso) con il quadro normativo nazionale e comunitario. L’alternativa è quella di veder slittare ulteriormente l’attuazione concreta di quei principi che il sistema rincorre da decenni senza riuscire a raggiungerli.