Questo Natale più di altre volte ho sentito il bisogno di ritornare al mare, nei suoi abissi più profondi. Scrivo mentre il treno sta per varcare i confini della Liguria:qui nell’area protetta delle Cinque Terre ci si può tuffare fluttuando verso l’Altissimo, realizzando una delle immersioni più suggestive al mondo. Il Cristo degli abissi di San Fruttuoso di Camogli sembra sia lì ad attenderti con le braccia aperte e la luce che lo svela pian piano trafiggendo le grigie acque invernali.
Quello al mare è sempre un ritorno, anche se non lo abbiamo mai visto o paradossalmente non ci siamo mai stati, perché noi stessi siamo fatti di mare, il sangue che ci scorre nelle vene ha la stessa composizione chimica delle acque del Pleistocene tranne un diverso grado di salinità. I primi nove mesi di vita li passiamo nell’acqua, il liquido amniotico dei mammiferi è simile al mare, entrambi i fluidi contengono gli stessi sali, quasi nelle medesime proporzioni. Pensieri che corrono veloci a qualche chilometro dalla stazione di Camogli, ispirati anche dal bel libro (“La vita segreta delle balene”) del cetologo Roger Payne che ha passato la vita a studiare i più grandi mammiferi esistenti, lui scrive che “il liquido amniotico è un’imitazione di quello che nutriva i nostri lontani antenati e che le madri lo riproducono nel loro corpo per ricreare le migliori condizioni per far crescere gli embrioni”.
In sostanza è l’antico mare che fuoriesce quando una partoriente perde le acque poco prima della nascita del bambino. Venendo al mondo noi umani ripetiamo la transizione della vita dall’acqua alla terraferma passando dal “mare” del liquido amniotico materno all’ambiente asciutto della nostra esistenza terrestre. Ecco che il ritorno al mare, scendere nelle sue profondità proprio il giorno della Natività diviene un viaggio alla scoperta della nostra identità più remota e profonda ed è un po’ come una rinascita, un nuovo battesimo, nel quale l’acqua gioca il ruolo più importante.
Non c’è tempo da perdere, in men che non si dica sono già sul molo di Camogli, visto da qui pare davvero un presepe marinaro, un salto sul gommone del diving e tra qualche miglio saremo proprio di fronte a San Fruttuoso tra Camogli e Portofino. L’idea di immergere in quel punto inaccessibile da terra una statua del Cristo venne a Duilio Marcante, uno dei padri della subacquea, che volle realizzare quell’impresa dedicandola ad un suo amico scomparso in mare. La cerimonia di immersione avvenne il 29 agosto 1954, ma tutta l’iniziativa fu davvero un’avventura, per recuperare il bronzo per realizzare la statua vennero fuse medaglie, cannoni, pezzi di navi e persino di sommergibili della marina americana. Lo scultore Guido Galletti riuscì a realizzare un’opera imponente alta 2,50 metri e del peso di 260 kg, che poggia a 17 metri di profondità su un basamento di cemento a forma di piramide tronca di 90 tonnellate.
Una volta in acqua, appena il Cristo si disvela, è sempre come ammirarlo per la prima volta, per me scendere nel blu è, soprattutto, la ricerca di una intima spiritualità che solo il silenzio del mare riesce a regalarmi. Riaffiorano le stesse sensazioni che si prova visitando tutti questi santuari del mare. San Fruttuoso è stato il primo, ma tanti altri ce ne sono in Italia, anche nella mia Puglia a partire dalla statua di Padre Pio alle isole Tremiti posata il 3 ottobre del 1998 sui fondali di Capraia, oppure il bel presepe nelle acque di San Cataldo in provincia di Lecce o la Madonna di Cala Incina a Sud di Polignano.
Durante la cerimonia le preghiere si fanno bolle, improvvisi sbuffi d’aria, appannano la maschera, ma questa lenta processione subacquea scandita dal fluttuare delle pinne riesce a donare una serenità interiore senza pari, anche qui si ripete il miracolo della Natività come adesso, di fronte al Cristo di San Fruttuoso immersi nel blu con le braccia al cielo.