Quasi 53 milioni di euro su due anni per l’indennità di disoccupazione (Naspi) di 2mila lavoratori. E poi ancora il contributo del fondo di solidarietà del trasporto aereo pagato da ogni passeggero direttamente sul biglietto. Sarà questo, per somme linee, il conto per i cittadini se l’ennesima ondata di esuberi Alitalia verrà confermata. Per ora tutto tace in vista della presentazione del piano industriale prevista per il 10 gennaio. Al tavolo con i sindacati, i manager della compagnia continuano a parlare solo di blocchi degli scatti automatici come quelli di anzianità. Ma intanto, agli addetti ai lavori, appare già evidente che la nuova mossa dei soci di Alitalia punta solo a tagliare i costi. Non certo a rilanciare il vettore.
“L’operazione ripete un copione già visto in passato – spiega Antonio Amoroso, responsabile nazionale Cub trasporti – Il vero problema è che non c’è e non c’è mai stato un piano di rilancio. Lo Stato ha speso molto per salvare Alitalia, ma questo denaro è servito solo a scaricare parte del costo del lavoro sulla collettività trasformando gli ammortizzatori sociali in un bancomat che finanzia le ristrutturazioni”. Senza peraltro alcun controllo da parte di governo e ministero. Nemmeno sul rispetto di alcune norme a vantaggio di lavoratori disabili che, nonostante sentenze favorevoli, la compagnia non ha mai reintegrato.
Secondo le prime indiscrezioni, il nuovo piano di Alitalia prevede infatti poche novità. Sotto il profilo finanziario, c’è la boccata d’ossigeno offerta dalle banche socie e creditrici, Intesa e Unicredit, che hanno dato l’ok a una linea di credito da 122 milioni. Il denaro servirà per “avviare, nei prossimi 60 giorni, un negoziato con i principali stakeholder (società di leasing aereo, fornitori, società di distribuzione e sindacati) allo scopo di ottenere il loro impegno su misure che portino a una radicale riduzione dei costi”, come si legge in una nota Alitalia dello scorso 22 dicembre. L’obiettivo, secondo quanto riferisce il Messaggero del 27 dicembre, è arrivare ad una ricapitalizzazione in cui Etihad investirà 100 milioni e le banche altri 150 milioni, più altri 50 milioni provenienti dal factoring. Gli istituti di credito dovranno poi convertire altri 140 milioni di crediti in azioni Alitalia, mentre Etihad trasformerà il bond da 216 milioni in strumenti partecipativi che rafforzeranno il patrimonio dell’ex compagnia mantenendo i soci arabi al 49 per cento del capitale. Intanto l’esercizio 2016 si chiuderà con una perdita vicina ai 400 milioni. Sotto il profilo industriale, oltre alla nuova ondata di tagli, c’è sul tavolo la promessa di introdurre una ventina di aerei sulle tratte a lungo raggio. E poi anche il tentativo di presidiare al meglio il segmento sulle tratte brevi dove Ryanair continua a conquistare posizioni. “Non si vede un impegno per rilanciare Alitalia nell’interesse della compagnia e del Paese. Un tema su cui da tempo la politica è assente”, conclude Amoroso.
Eppure l’Alitalia, i suoi soci e i suoi manager hanno finora avuto soldi e tempo per far ripartire l’ex compagnia di bandiera che, fino all’avvento dell’alta velocità per i treni, era in monopolio sulla redditizia tratta Roma-Milano. Ciononostante, secondo quanto calcolato dall’ufficio studi di Mediobanca, in quarant’anni (1974-2014), Alitalia è costata alle casse dello stato circa 7,4 miliardi di euro. Nonostante l’impegno dei governi che si sono succeduti a Palazzo Chigi, in 34 anni (dal 1974 al 2007), Alitalia ha chiuso ben 20 esercizi in perdita cumulando un rosso pari a 5,1 miliardi. Una cifra monstre che, secondo il sindacato, non si può attribuire solo al peso del costo del lavoro, ma è il risultato di errori strategici del management che ha anche danneggiato piccoli risparmiatori e obbligazionisti.
Con l’ingresso in scena dei soci arabi di Ethiad, il governo Renzi sperava di aver voltato pagina. In realtà le cose sono andate diversamente mettendo a rischio persino la tenuta del fondo di solidarietà dei lavoratori del settore aereo, rifinanziato fino al 2018 senza considerare i nuovi esuberi. Questa volta però, oltre al personale Alitalia e nonostante le smentite di rito, potrebbero farne le spese anche l’ad di Ethiad, James Hogan, e il numero uno di Alitalia, Cramer Ball, che puntavano a fare dell’ex monopolista la “compagnia più sexy del mondo”.