Dopo le feste è Orfini a far ripartire il dibattito: "Tutti a un tavolo o andiamo a votare". Come se non conoscesse già la risposta. I berlusconiani rispondono che il tavolo non è il Nazareno. I democratici replicano che prima di arrivare in Parlamento vogliono un pre-accordo. I Cinquestelle insistono che bisogna aspettare la Consulta il 24 gennaio. E l'impressione è che sia il vero paracadute per tutti (di nuovo)
Il Partito democratico chiede di sedersi al tavolo partendo dal Mattarellum. Gli altri dicono che il tavolo non è al Nazareno, ma in Parlamento. Altri ancora dicono che al tavolo non si siederanno mai e che bisogna votare. E il Pd allora richiede di sedersi al tavolo. E gli altri ripetono che il tavolo non è quello. Oppure che al tavolo nemmeno morti. Chissà quando finirà la giostra infinita sulla riforma elettorale che assomiglia a quella che nella Toscana dell’ex presidente chiamano la novella dello stento “che dura tanto tempo” (e in realtà è infinita e infatti serve ad addormentare i bambini). Il sospetto è che l’unica legge che vale sempre è proprio la novella della riforma indispensabile – così l’ha definita Mattarella – che però nessuno voglia sforzarsi (almeno sforzarsi) di fare.
L’unico dato di fatto ad oggi spinge verso la desolazione: a un mese dal referendum dopo il quale bisognava andare “a votare il prima possibile” (lo hanno ripetuto tutti dalla mezzanotte del 5 dicembre), la proposta che riunisce il maggior numero di aderenti (tre!) è il Mattarellum. Ipotesi avanzata dal Pd e accolta – a sorpresa – da Lega Nord e Fratelli d’Italia. Gli altri invece hanno risposto che quella legge non va bene, ma ovviamente ciascuno con la propria tavolozza di colori. Per brevità, il riassunto: il M5s dice di aspettare la Consulta a fine gennaio e votare con l’Italicum “corretto” (col rischio che sia una legge costituzionale, sì, ma chissà se efficace), Forza Italia vuole un proporzionale ma non precisa se con un premio di governabilità, preferenze, addobbi vari e infine tutti i partitini (Ncd, Sinistra Italiana) tifano indistintamente proporzionale purissimo in modo da continuare a sopravvivere, appena sopra la linea di galleggiamento.
Anche la puntata di oggi ha lo stesso estenuante copione e i protagonisti sembrano urlarsi le stesse cose come un gruppo di sordi. A far ripartire la tiritera oggi, finite le feste, è stato il presidente del Pd Matteo Orfini sulle pagine dell’Unità: “Questa legislatura può andare avanti qualche mese solo a patto che si cambi la legge elettorale – ha detto – Nessuno può pensare di portare a spasso su questo il Parlamento per poi non decidere nulla”. Il presidente del Pd chiede quindi a ciascuno di assumersi “la propria parte di responsabilità” e per questo i democratici devono verificare “in tempi rapidissimi la disponibilità delle altre forze”. Insomma, riforma elettorale oppure al voto subito. Tradotto, come ribadisce il vicesegretario Lorenzo Guerini, “la legge elettorale si fa in Parlamento senza accordo preliminare significa in realtà puntare solo a perdere tempo e a questa prospettiva il Pd non è disponibile. Ribadiamo la nostra volontà a incontrare in tempi molto brevi tutte le forze politiche che intendono confrontarsi seriamente e realmente senza tergiversare”.
Ecco: farà pure schifo al Pd, ma in commissione Affari costituzionali di Montecitorio “i tempi brevi” si erano fatti vivi prima di Natale. Ma i democratici – con Emanuele Fiano – hanno votato insieme al M5s e a Forza Italia per rinviare qualsiasi discussione in Parlamento sulla riforma elettorale a dopo la decisione della Consulta.
In ogni caso il Pd può stare tranquillo perché non c’è rischio che gli altri partiti d’opposizione muovano un solo muscolo per smuovere la situazione. Forza Italia risponde in blocco che “l’unico tavolo possibile è e rimane il Parlamento”, come dice il capogruppo alla Camera Renato Brunetta: “Dopo la sonora sconfitta referendaria il Pd di Renzi e Orfini non può più dare le carte, men che meno sulla riforma della legge elettorale”. Giova forse ricordare che era stato Silvio Berlusconi a rammentare – dopo il referendum – che il Pd era il partito di maggioranza relativa al quale toccava fare la prima proposta. E l’ex Cavaliere conferma che “non vediamo un’altra soluzione che quella di un sistema elettorale proporzionale che garantisca la corrispondenza tra la maggioranza parlamentare e la maggioranza popolare. E solo una legge proporzionale in uno scenario politico tripolare può garantire che la maggioranza in parlamento si identifichi con la maggioranza dei cittadini”. In sostanza: larghe intese forever and ever.
Ribadisce la propria linea, a scanso di equivoci, anche il Movimento Cinque Stelle: “‘O ci sediamo al tavolo o andiamo subito al voto’. Grazie dell’offerta, caro Orfini. Accettiamo: #VotoSubito! Basta altri disastri Pd” twitta Danilo Toninelli. Voto subito che però non ha nessun effetto concreto senza una legge elettorale che valga sia per la Camera che per il Senato. Il non detto è che il M5s, dopo aver cambiato idea un paio di volte, stando all’ultimo aggiornamento utile, propone di aspettare la legge che uscirà dalla Consulta e applicarla poi anche al Senato. L’assemblea di Palazzo Madama, però, come dice la Costituzione, prevede in più una distribuzione dei seggi su base regionale.
Insomma, tutti a ripetere la propria parte in commedia, ciascuno con un’idea bellissima, migliore delle altre, perfetta e di sicuro inconciliabile con le altre, senza muoversi di un centimetro, naturalmente in attesa che qualcun altro – cioè i giudici della Corte costituzionale – ancora una volta risolva una questione che la politica non riesce – o fa solo finta o non ha voglia – di risolvere. Insomma, Porcellum 2. Secondo il senatore della minoranza Pd Federico Fornaro, c’è “un eccesso di rigidità e di nervosismo nella maggioranza dem in merito alla proposta di una riproposizione del Mattarellum. Non vorrei che questo atteggiamento, in realtà, nascondesse la volontà di andare a votare alla Camera con l’Italicum ‘corretto’ dalla Corte Costituzionale e al Senato con il cosiddetto Consultellum”. In attesa di scoprirlo, in ogni caso, settembre è già lontano un mese in meno.