“#Almaviva, profonda amarezza. Nonostante l’ultimo tentativo su Roma non si revocano licenziamenti. I lavoratori dovevano essere ascoltati prima”. A 4 ore dall’inizio dell’incontro al ministero dello Sviluppo economico convocato per tentare in extremis di salvare i 1.666 dipendenti della sede romana di Almaviva Contact, il viceministro Teresa Bellanova affida a Twitter un messaggio che racchiude i fatti e la delusione per una vicenda che poteva chiudersi diversamente. Invece l’azienda di call center non ha voluto fare dietrofront rispetto a quanto dichiarato 24 ore prima. Risultato: chiusa la sede di Roma, a casa 1.666 lavoratori, con le lettere di licenziamento già inviate. “Solo chi non conoscesse la normativa o pensasse di ignorarla potrebbe ritenere di riaprire un procedimento formalmente concluso e sottoscritto dalle parti congiuntamente ai competenti rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro” scriveva ieri Almaviva. E oggi l’azienda ha puntato i piedi nonostante il tentativo del Mise di mediare. Tutto inutile.
LA FUMATA NERA – Non si torna indietro rispetto alla notte del 22 dicembre scorso quando al termine di un tavolo di confronto tra Almaviva Contact e le Rsu degli stabilimenti del gruppo, i 13 delegati della Rsu della sede di Roma non hanno firmato la proposta di mediazione. E proprio i fatti di quella notte, almeno formalmente, hanno impedito oggi a governo, sindacati e azienda di trovare l’accordo che invece era stato sottoscritto il 22 dicembre dalla sede napoletana di Almaviva al termine di una lunga trattativa. Era ottobre quando la società di call center ha annunciato l’apertura di una procedura di riduzione del personale all’interno di un nuovo piano di riorganizzazione del personale. Una trattativa proseguita anche dopo che, in piena bufera post referendum, Almaviva ha ritirato la proposta di accordo, parlando di “indisponibilità al confronto” dei sindacati. E poi c’è stato lo sciopero del 19 dicembre, dopo che l’azienda “ha espresso la propria indisponibilità all’utilizzo della Cigs e ribadito il taglio secco del salario contrattuale dei lavoratori su tutte le sedi di Almaviva in Italia come unica soluzione alternativa ai licenziamenti”.
L’ULTIMO TENTATIVO – A nulla è valso l’esito del referendum interno fissato da Rsu e strutture regionali di Slc e Cgil per il 27 dicembre, attraverso il quale con 590 voti favorevoli e 473 contrari, i dipendenti hanno detto ‘sì’ all’intesa anche per la sede di Roma. Una bocciatura alla decisione presa dai sindacati, che ha reso inutile anche l’incontro riconvocato ieri sera dal viceministro Bellanova. Le lettere di licenziamento sono già partite e lo stesso viceministro non ha potuto evitare di sottolineare che sarebbe stato il caso di ascoltare i lavoratori prima di chiudere il dialogo. Invece “le Rsu hanno ritenuto quell’accordo inaccettabile e quindi hanno determinato la perdita di lavoro di oltre 1.600 persone” ha dichiarato ai microfoni di RaiNews24, sottolineando che “non si è voluto prendere tempo” nonostante la proposta del governo fosse stata giudicata positiva dai segretari generali dei sindacati.
ASSIST ALL’AZIENDA. CHE PUNTA I PIEDI – Di fatto la società è stata messa nelle condizioni di poter mettere la parola fine alla trattativa. E Almaviva l’ha fatto. “L’azienda – ha continuato Bellanova – ha avanzato difficoltà anche dal punto di vista della tenuta della procedura e quindi ha ribadito il mantenimento dell’accordo dei lavoratori di Napoli e il mancato accordo con Roma che non ha firmato”. Tra le prime reazioni, quella di Stefano Pedica del Pd: “La chiusura della sede di Roma del call center Almaviva è l’ennesima sconfitta per la città di Roma. La capitale è sempre più povera e abbandonata a se stessa”.
SINDACATI: “LA SITUAZIONE ADESSO E’ DRAMMATICA” – “La situazione adesso è drammatica, una pagina nera su cui come sindacato proveremo a trovare qualsiasi possibile soluzione”. Questo il commento di Salvo Ugliarolo, segretario generale Uilcom, dopo la fumata nera e l’annunciata chiusura della sede romana di Almaviva. “Purtroppo i fatti hanno confermato quello che già pensavamo – ha sottolineato il sindacalista – ossia che era stata fatta una scelta sbagliata da parte dei delegati aziendali di Roma che hanno rifiutato l’accordo dello scorso 22 dicembre”. “Oggi abbiamo fatto un tentativo, forti della raccolta firme con cui oltre 700 lavoratori hanno chiesto alle segreterie di poter accedere allo stesso accordo firmato per la sede di Napoli – ha sottolineato il segretario della Uilcom – ma purtroppo abbiamo riscontrato la chiusura da parte dell’azienda perché tecnicamente essendo ormai chiusa la procedura, non c’erano più margini per riportare questi lavoratori all’interno dell’accordo“.
Ancora più drastiche le parole di Vito Vitale, segretario generale della Fistel Cisl: “Abbiamo preso atto che ormai non ci sono altri elementi su cui poter costruire le nostre speranze. Siamo usciti dal Ministero con una vicenda ormai chiusa”. Per Vitale l’azione dei delegati sindacali aziendali di Roma che hanno rifiutato lo scorso 22 dicembre l’accordo raggiunto al ministero “è stata irresponsabile, se avessimo avuto l’ok sulla firma di quell’intesa oggi non avremmo avuto questa situazione”. A sentire il rappresentante della Fistel Cisl, quello che è accaduto oggi “era nell’aria da giorni”, perché nonostante il governo “abbia subito proposto all’azienda di integrare l’accordo fatto su Napoli, dal punto di vista amministrativo mancavano ormai le garanzie e si poteva anche mettere a repentaglio l’accordo già firmato per Napoli”.