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Donald Henderson, tra i tanti morti illustri del 2016 è lui quello che ha fatto più bene al mondo. Ma non ne parla nessuno

Questo coriaceo signore, quando ancora non esisteva il web e le informazioni non viaggiavano a mille all’ora in ogni angolo del globo, accettò una sfida difficile e importante

di Davide Turrini

Carrie Fisher, George Michael, Prince, Alan Rickman, David Bowie e Gene Wilder. Solo per citare alcuni nomi del patrimonio culturale mondiale che nel 2016 ci hanno lasciato. Ma c’è una persona che in pochi conoscono e che se n’è andata in silenzio il 19 agosto 2016 dopo avere fatto del cosiddetto “bene” al mondo più povero e in difficoltà, ma senza i titoloni dei siti web. Si tratta dell’epidemiologo Donald Henderson, morto ad 87 anni dopo una vita passata a studiare e combattere virus e malattie infettive. Per lui nessun tweet “virale”, ma molta tristezza e messaggi contriti del settore medico-scientifico. Perché questo coriaceo signore, quando ancora non esisteva il web e le informazioni non viaggiavano a mille all’ora in ogni angolo del globo, accettò la sfida di debellare una malattia come il vaiolo estesa tra i paesi più poveri della terra. L’impresa di Henderson si svolgerà nel decennio 1967-1977, ma prima di raccontarvela va fatto un passo indietro con due necessarie premesse.

Si denigra per default l’epoca della “guerra fredda”, della minaccia nucleare e delle guerre sempre pronte ad esplodere, ma è un dato oggettivo che nel primo dopoguerra sia nella parte occidentale che in quella orientale del pianeta siano stati fatti sforzi reali dalle grandi potenze mondiali per rendere la vita più decente ai propri cittadini sia in termini di progressi nell’ambito sanitario, sia in quello scientifico, cercando di debellare fame e malattie. Sono diversi i tentativi sia da parte americana che sovietica di sradicare, ad esempio, il vaiolo anche nelle aree più povere delle loro nazioni come gli Stati Uniti e, all’epoca, l’Urss; ma la svolta avviene quando nel 1959 l’OMS accetta la richiesta del ministro della sanità sovietico, Zhdanov, di intraprendere un’iniziativa mondiale per un virus che uccideva in quegli anni 2 milioni di persone all’anno. Ed è qui che entra in scena il nostro Henderson, lo scienziato nato nel 1928 in Ohio, figlio di una coppia di immigrati scozzesi.

L’uomo intraprese un viaggio in giro per il mondo per contro dell’Organizzazione Mondiale della sanità, che toccò paesi come l’Etiopia e la Somalia, l’Afghanistan e l’India, dal 1967 al 1977. Il suo gruppo di lavoro con un cospicuo finanziamento in denaro e grazie alla strategia chiave di “sorveglianza e contenimento” intervenne su oltre 10 milioni di segnalazioni tra il Brasile, trenta paesi di Africa e Asia meridionale. La vaccinazione portò a controllare sì il fenomeno, ma la rapida segnalazione, e l’isolamento dei focolai, fece il resto. La campagna coordinata da uno staff internazionale in stretto contatto con centinaia di gruppi di medici locali ebbe un tale successo tanto che l’ultimo caso di vaiolo avvenne in Somalia il 26 ottobre del 1977, a soli 10 anni dopo l’inizio del lavoro effettuato da Henderson e colleghi.

Il racconto dell’Economist di questa avventura sanitaria a lieto fine narra dell’iniziale diffidenza del direttore dell’OMS sull’intera operazione, come della grande sagacia tattica e organizzativa del team di Henderson: ogni tre giorni alla centrale operativa di Ginevra giungevano rapporti puntuali da ogni angolo di mondo dove agivano i team locali minori. Poi ci sono stati anche altri ostacoli, parecchi oltretutto, per portare a termine la missione umanitaria: in Etiopia diverse volte i soldati ribelli hanno attaccato i convogli sanitari antivaiolo; in Afghanistan i medici hanno dovuto combattere di più con le ondate di neve che il virus stesso; in Bangladesh i camion con i vaccini e le cure non riuscivano a passare sui ponti di bambù; infine in India la difficoltà si moltiplicava perché i cadaveri dei malati di vaiolo non potevano essere recuperati dal Gange dove tradizione religiosa voleva galleggiassero. Esaurita, o almeno resa praticamente a zero l’emergenza vaiolo, Henderson continuò a dedicarsi sempre allo stesso virus e alla sua possibile ricomparsa per l’intero resto della vita come docente emerito della Johns Hopkins School of Public Health di Baltimora, con tanto di simulazione nel 2001 chiamata Dark Inverno in cui la premessa era aggiustare in pochi giorni un’epidemia di vaiolo scoppiata nel MidWest statunitense. Un piccolo spazio nella cronaca di questo 2016 che si chiude Henderson lo merita tutto.

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