Un gruppo di ragazzi tra i 13 e i 17 anni vivono secondo regole e abitudini del 1960. L'ambientazione storica a volte sembra sin troppo esasperata e forse è coniugata solo in alcune cose, come l'orrida divisione tra maschi e femmine per le lezioni di applicazioni tecniche ed economia domestica. Per il resto, però, è un programma interessante. Anche perché, nonostante il ritorno al 1960, è in realtà una trasmissione molto moderna e contemporanea, visto che dipinge un quadro sconfortante delle nuove generazioni di oggi e del sistema scolastico italiano
Gli adolescenti italiani del 1960 conoscevano le regioni italiane e i capoluoghi? Chissà. Di sicuro non li conoscono i diciotto adolescenti scelti per partecipare a Il Collegio, nuovo reality di RaiDue la cui prima puntata è andata in onda lunedì sera. L’idea è molto semplice: un gruppo di ragazzini dai 13 ai 17 anni devono vivere in un collegio con le regole e le abitudini del 1960, tra sorveglianti cattivissimi e insegnanti vecchio stampo, attenendosi anche ai programmi didattici di quasi sessant’anni fa.
L’idea è sfiziosa e in generale il programma funziona, soprattutto grazie a un cast miscelato alla perfezione, con i bulletti, i secchioni, i/le vanitosi/e. Il ritmo è il pregio migliore del format, con un racconto che invoglia alla visione (grazie anche alla voce narrante di Giancarlo Magalli). Docenti e sorveglianti, il punto debole della trasmissione, sembrano essere attori (nemmeno troppo dotati) che interpretano con poca naturalezza la parte assegnata loro, togliendo la spontaneità che invece è la caratteristica principale degli adolescenti collegiali.
L’ambientazione nel 1960 a volte sembra sin troppo esasperata e forse è coniugata solo in alcune cose, come l’orrida divisione tra maschi e femmine per le lezioni di applicazioni tecniche ed economia domestica. “Ma nel 1960 funzionava così!”, fanno sapere gli autori del programma. Vero, ma nel 1960 anche le punizioni corporali erano all’ordine del giorno, eppure ieri non abbiamo visto (per fortuna) bacchettate o ragazzi inginocchiati sui ceci. Le sensibilità sono fortunatamente cambiate e forse si poteva evitare la parte in cui le ragazze sono state costrette a mettere il pannolino a un bambolotto, mentre i ragazzi costruivano virilmente uno sgabello.
Per il resto, però, Il Collegio è un programma interessante. Anche perché, nonostante il ritorno al 1960, è in realtà una trasmissione molto moderna e contemporanea, visto che dipinge un quadro sconfortante delle nuove generazioni di oggi e del sistema scolastico italiano. La geografia, per esempio, è materia bistrattata nei programmi attuali e il risultato è che per molti Viareggio è in Emilia Romagna, Reggio Emilia è il capoluogo dell’Emilia Romagna e le Marche diventano la Puglia. Lacune gravissime anche sulle tabelline (e stiamo parlando di liceali, non di bimbi di scuola primaria), ma anche questo è un fatto noto, visto che gli studenti italiani sono da tempo agli ultimi posti per rendimento in matematica.
Ecco l’aspetto migliore de Il Collegio (a parte l’avvincente efficacia narrativa): un quadro desolante di una parte degli adolescenti italiani, tutti cellulare, ciuffi e trucchi e poca sostanza. Nessuna generalizzazione, sia chiaro: evidentemente il casting puntava proprio a sottolineare questi tipi umani dei giovanissimi degli anni Dieci, mentre fuori c’è un universo decisamente più variegato. Ma quel tipo umano esiste e fingere che non sia così sarebbe un errore enorme.
Sui social il programma è stato molto commentato e non sono mancate critiche feroci. Secondo alcuni, ad esempio, la trasmissione sarebbe troppo “scritta” e per nulla spontanea. Premesso che di intrattenimento televisivo si tratta e che dunque un intervento autoriale è normale, le interazioni tra i ragazzi ci sono sembrate, invece, molto più genuine della media dei reality show che vengono trasmessi in tv. Il Collegio è un programma interessante, ma non dovremmo affibbiargli finalità pedagogiche che non può e non deve avere. È intrattenimento televisivo e, con i suoi pregi e i suoi difetti, si fa guardare con un certo interesse.