Le sue ultime parole pubbliche erano piene di delusione. Perché a settembre Sky aveva deciso di sospenderlo e di sollevarlo dalla conduzione di Di Canio Premier show dopo le polemiche per la scritta Dux tatuata sul braccio destro (tatuaggio che risale a quando era ancora un calciatore). Oggi Paolo Di Canio è tornato a parlare, in un’intervista al Corriere della Sera: “Ci sono rimasto non male, peggio. Ho urlato. Non so neppure cosa sono i social network. Orgoglio ferito. Mi sono sentito un appestato. Avrei voluto reagire d’istinto” ha detto l’ex capitano della Lazio dopo la cacciata dalla tv di Murdoch. La chiacchierata col quotidiano di via Solferino, però, è stata anche l’occasione per spiegare, per l’ennesima volta, la sua storia e il suo rapporto con Benito Mussolini, il fascismo e la storia.
“Non rinnego le mie idee, ma il saluto romano sotto la curva Nord. È la cosa di cui mi più mi pento nella mia carriera” ha detto Paolo Di Canio. Che poi ha spiegato il perché delle sue parole: “Quello è un ambito sportivo, è stupido fare un gesto politico che magari può essere condiviso da alcuni spettatori e amareggiarne molti altri. Non avrei mai dovuto farlo. Lo sport deve restare fuori da certe cose”. Al netto di pentimenti e di rivisitazioni, quel braccio teso è senza dubbio un segno di appartenenza politica. Di Canio non ha smentito, ma ha fatto dei distinguo: “Io fascista? Preferirei evitare le etichette. Ho sempre spiegato come la penso, non è un mistero – ha sottolineato l’ex calciatore – Ma se mi chiede delle leggi razziali, dell’antisemitismo, dell’appoggio al nazismo, quelle sono cose che mi fanno ribrezzo”.
Sul suo attuale atteggiamento nei confronti della politica, Paolo Di Canio non ha usato mezze misure: “Ho creduto in una destra sociale – ha chiarito – ho seguito le varie svolte da Fiuggi in poi. Non ho mai preso una tessera. Sono 17 anni che non voto”. Eppure quei tatuaggi non saranno cancellati dalla sua pelle. Toglierli, ha spiegato, “sarebbe una ipocrisia. Una amica di sinistra mi ha detto che per me sono ormai legati a un’idea romantica e idealista della giovinezza. Forse non è neppure così. Quel che mi porto addosso è il simbolo di ciò che sono stato, di quel che ho fatto. Compresi gli errori“.