Verrebbe da dire che, nel caso di Trump, l’economia non sarà probabilmente un mezzo per ottenere obiettivi politici, ma la politica diventerà strumento per ottenere vantaggi economici. In attesa di conferme o smentite, Trump, nella sua prima intervista da presidente eletto nella sede del “New York Times”, ha chiarito alcune delle sue future mosse. Ci saranno pressioni sull’Arabia Saudita perché aumenti il suo impegno anti-Isis (pena la riduzione dell’acquisto da parte degli Stati Uniti delle risorse petrolifere saudite). Altrettanto probabili saranno i tentativi affinché Giappone e Corea del Sud contribuiscano finanziariamente all’impegno militare americano nell’area. Stessa cosa verrà chiesta agli alleati Nato: “Paghiamo troppo – ha chiarito Trump – e la Nato serve soprattutto ai nostri alleati”.

Chi per mesi ha ridicolizzato le posizioni di politica estera di Trump (frasi come “faremo cagare addosso l’Isis”), chi ne ha criticato la vaghezza, deve quindi probabilmente ricredersi. Come ha detto ancora Thomas Wright, “Trump ha una visione del mondo del tutto coerente”, fatta di isolazionismo e opposizione al libero commercio. Soprattutto, in un sistema in cui economia e politica sono sempre più integrate, e in cui la politica è sempre più al servizio degli interessi economici, pagare senza ottenere alcun vantaggio sarà, per l’amministrazione Trump, il principio da evitare a ogni costo.

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Trump cambia la politica estera: Usa mai più guardiani del mondo, sì ad alleanze variabili in base agli accordi economici

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