Dopo la morte della 25enne ivoriana in provincia di Venezia, torna d'attualità il dibattito sulla situazione dei migranti. "Nel nostro Paese non esiste un elenco dei centri, di chi li gestisce e dei soldi pubblici che questi soggetti ricevono", dice Gabriella Guido, portavoce della campagna di sensibilizzazione LasciateCIEntrare
Pessime condizioni igieniche, casi di maltrattamento e totale mancanza di trasparenza su ubicazione, costi e gestori delle strutture. La situazione che viene fuori dai rapporti sulle condizioni dei centri di accoglienza italiani, tornata d’attualità dopo la morte della 25enne ivoriana Sandrine Bakayoko nel Centro di prima accoglienza di Cona, in Provincia di Venezia, “è disastrosa”, dice Gabriella Guido, portavoce della campagna di sensibilizzazione LasciateCIEntrare nata per denunciare le cattive condizioni di vita all’interno dei centri d’accoglienza italiani. “Ad oggi – spiega – non esiste un elenco dei centri che accolgono migranti in Italia, di chi li gestisce e dei soldi pubblici che questi soggetti ricevono. Risposte dal Ministero dell’Interno? Le abbiamo chieste, ma non le abbiamo mai ricevute”.
“Il Cpa di Cona? Un posto assurdo, il peggiore che abbiamo mai visitato”
Dal 2011, anno in cui è stata lanciata la campagna, i responsabili di LasciateCIEntrare hanno visitato circa 400 centri di accoglienza per immigrati. “Quello di Cona – ricorda Guido – è veramente uno dei peggiori che abbiamo mai visto. Un’ex base missilistica adibita a centro di prima accoglienza che si trova nel nulla, isolata da tutto. Un grande tendone pieno zeppo di letti a castello con appena lo spazio per passare. Ricordo una visita blindatissima, con i migranti che avevano paura a parlarci delle difficoltà che vivevano quotidianamente. Quando qualcuno di loro si è aperto, però, ci ha raccontato di malori segnalati e ignorati dai gestori del campo, di maltrattamenti”. Al tempo della visita degli operatori, a giugno, gli immigrati ospitati erano poco più di 600. Oggi, a soli sei mesi di distanza, nel centro si trovano 1.400 persone. “Non oso immaginare la situazione di Cona oggi – continua la portavoce – Ma dove sono le prefetture che dovrebbero controllare?”.
“Minacce, pessime condizioni igieniche e mancanza di trasparenza”. La situazione dei centri italiani
Quello di Cona è un centro di prima accoglienza, una struttura adibita a ospitare solo per pochi giorni persone appena entrate in Italia. Questo prima di essere smistate in uno dei centri di accoglienza ordinari o nei Centri di accoglienza straordinaria, strutture nate con altri scopi e oggi convertite. I Cas, che dovrebbero rappresentare una risorsa per sopperire a un’emergenza, rappresentano invece la base dell’accoglienza italiana con circa 3.090 strutture. “Questo è l’unico dato, tra l’altro variabile, di cui siamo entrati in possesso riguardo ai Cas, insieme a quello che li vuole ospitare circa il 72% dei richiedenti asilo – spiega Guido – Riguardo a queste strutture c’è pochissima trasparenza da parte del ministero e delle prefetture che dovrebbero controllarle. Non esiste una lista aggiornata (l’unica presente sul sito del Ministero dell’Interno non cita i Cas e risale al 28 luglio 2015, ndr), non si conoscono i soggetti che hanno in gestione questi centri e i soldi che ricevono per il servizio che svolgono. Si tratta di appalti pubblici, la trasparenza dovrebbe rappresentare un requisito fondamentale. Qui vengono spesi soldi dei cittadini, ma non sappiamo per quali strutture, per quali servizi e in favore di quali soggetti. Abbiamo avanzato una richiesta formale al ministero e alle prefetture, ma l’unica che ci ha risposto è stata quella di Arezzo”.
Nei loro numerosi report, i responsabili della campagna hanno denunciato una situazione dei centri di accoglienza italiani che Guido definisce “preoccupante”. “Devo dire – continua – che quello di Cona è uno dei peggiori che abbiamo mai visto. Questo perché accoglie un grande numero di persone. Ma abbiamo visitato altre strutture più piccole, con circa 50-80 persone, che presentavano situazioni di degrado simili. Ricordo una ex discoteca in Sardegna, un’ex pizzeria a Napoli”. E in alcuni di questi centri gli immigrati sarebbero stati vittime di minacce da parte dei gestori della struttura: “Quando si sente parlare di proteste all’interno dei centri – dice la portavoce – non si tratta di qualche facinoroso, ma di persone stanche di vivere in condizioni degradanti. Molti stanno zitti perché sanno che, se denunciati alle Prefetture, rischiano di uscire dal circuito dell’accoglienza. L’alternativa a questo degrado è la strada. Quando, alla fine del 2014, abbiamo visitato alcuni centri italiani insieme a Khalid Chaouki del Partito democratico, alcuni richiedenti asilo ci hanno raccontato di essere stati minacciati con delle pistole”.
Guido tiene a precisare che non è giusto generalizzare e di aver incontrato anche situazioni virtuose, con centinaia di operatori, associazioni e cooperative che lavorano seriamente, offrendo un ottimo servizio. “Noi agiamo su segnalazione – spiega – e quindi vediamo spesso realtà negative. Non abbiamo un quadro nazionale completo perché ottenere i permessi per visitare i centri è difficile e richiede tempo. Posso dire, però, che di circa 400 strutture visitate il 90% era veramente in brutte condizioni, da segnalare. C’è da tenere conto che le nostre visite sono programmate con largo anticipo, quindi immagino che ciò che vediamo sia comunque filtrato”.
Ecofficina Edeco, cooperativa già indagata. “Ma non si tratta di un caso isolato”
La cooperativa che gestisce il Cpa di Cona risulta già coinvolta in tre inchieste con l’accusa di truffa, falso e maltrattamenti. Non il primo caso in Italia, come hanno raccontato le cronache di Mafia Capitale. “Non abbiamo mai visitato altre loro strutture – dice Guido – So che hanno iniziato con lo smaltimento di rifiuti, ma poi hanno capito che il business dell’accoglienza era più redditizio. Sfortunatamente, però, non rappresentano un caso negativo isolato: basti pensare che le stesse cooperative coinvolte nello scandalo di Mafia Capitale hanno ottenuto appalti in Sardegna e Friuli Venezia Giulia”.
Twitter: @GianniRosini