E' considerato uno dei più grandi trafficanti sulla piazza milanese di Quarto Oggiaro. Ex luogotenente di Biagio Crisafulli, nel 2010 viene condannato a 21 anni di carcere, ma riesce a evadere grazie alla diagnosi. Per sei anni il pm Marcello Musso e i carabinieri del Ros gli hanno dato la caccia e alla fine lo hanno trovato
Lo scarcerarono perché gli venne diagnosticato il priapismo, la malattia di chi ha sempre il membro eretto. Un’occasione d’oro, che uno sveglio come lui non si fece certo scappare. Anche perché l’alternativa che aveva davanti erano 21 anni, 2 mesi e 10 giorni di carcere per traffico di droga. E così, il giorno dopo la lettura della sentenza, fece perdere le sue tracce. Era il 2010. Dopo sei anni la latitanza di Francesco Gianco Castriotta è finita. Il 3 gennaio la polizia regionale della Catalogna lo ha arrestato in una villetta nella cittadina di El Vendrell, nella provincia di Tarragona (70 km da Barcellona), grazie alle informazioni fornite dagli inquirenti milanesi, che hanno lavorato incessantemente per raccogliere le tracce lasciate e arrivare alla sua cattura. E’ un colpo importante quello messo a segno dal pm Marcello Musso (nella foto) e dai carabinieri del Ros di Milano guidati dal colonnello Paolo Storoni. Perché Gianco non solo è considerato uno dei più grandi trafficanti di droga di Quarto Oggiaro, da sempre regno di Biagio Dentino Crisafulli, ma rappresenta anche il tassello mancante dell’inchiesta Pavone, che con i suoi quattro capitoli racconta il grande romanzo sulla malavita milanese.
“Questo arresto è un grande successo dello Stato, un regalo di buon anno alla popolazione. È il risultato del sacrificio e della dedizione dei carabinieri che, anche sotto Natale, hanno continuato a lavorare per individuare questo pericoloso criminale”, ha detto il pm Musso durante la conferenza stampa al comando provinciale dell’Arma di Milano. Castriotta è stato incastrato dai contatti avuti per gli auguri di Natale con familiari e amici le cui tracce hanno condotto gli investigatori a El Vendrell, nella provincia di Tarragona, da dove – secondo gli investigatori – continuava a trafficare cocaina. Al momento della cattura era da solo in casa.
Castriotta è uno dei nomi storici della criminalità di Quarto Oggiaro. Secondo gli inquirenti, dalle sue mani è passata gran parte della cocaina e dell’eroina smerciata in una delle principali piazze di spaccio del nord Italia. Negli anni Novanta, infatti, Gianco fa parte della principale batteria agli ordini di Crisafulli, che può vantare buoni legami con ‘ndrangheta e Cosa nostra. Nel ’94 entrambi finiscono nella maxi inchiesta della Dda di Milano Terra Bruciata. Ma il loro rapporto cambia nel 2007. Quando – come è stato ricostruito nell’inchiesta Pavone 4 – dal carcere Dentino decide che a controllare i traffici a Quarto Oggiaro non deve più essere il suo luogotenente Castriotta e la sua batteria, formata da personaggi di primo piano come Antonino Benfante, Luigi Giametta e Giordano Filisetti, bensì i fratelli Tatone, altra storica famiglia del quartiere decimata a fine ottobre 2013 proprio da Benfante, detto Nino Palermo, che nell’arco di due giorni uccide Emanuele Tatone assieme all’amico Paolo Simone e infine Pasquale Tatone, considerato il vero capofamiglia.
Tre omicidi che sembrano far riemergere dal passato criminale della città vecchi rancori, anche se le indagini non hanno mai accertato il collegamento tra la decisione di Crisafulli di spodestare Castriotta e i suoi e gli omicidi dei Tatone per mano di un ex membro di quella batteria, che quando viene condannato urla in faccia a uno dei fratelli sopravvissuti: “Siete una famiglia di infami“. Di sicuro nel 2007 la “sentenza” di Dentino trasforma Gianco in un reietto. Castriotta, infatti, inizia a tenersi alla larga dalle strade di Quarto Oggiaro. Nel 2006, in via Pascarella, qualcuno tenta addirittura di uccidere suo fratello. Castriotta sembra ormai fuori dai giochi. Nel 2008 viene arrestato e il colpo definitivo alla sua carriera sembra arrivare due anni dopo, quando la Corte d’Appello di Milano gli infligge una condanna a 21 per associazione finalizzata al traffico di droga. Ma a Gianco, incredibile ma vero, viene diagnosticato il priapismo, dovuto – certificano i medici – al prolungato uso di cocaina. Viene quindi scarcerato e messo agli arresti domiciliari a Bollate, da dove evade il giorno dopo la lettura della sentenza. Riesce a sparire per sei lunghi anni, durante i quali il pm Musso e i carabinieri del Ros non smettono mai di cercarlo. Perché fin dall’inizio sanno che prima o poi lo avrebbero trovato.