Sono passati solo due anni. Ma sembra ormai una eternità. Forse perché la musica che gira intorno, per dirla col suo collega Ivano Fossati, ormai ritiratosi a vita privata, è diventata brutta in maniera impressionante, forse perché nel corso dell’ultimo anno, il 2016, altri importanti pezzi della cultura musicale contemporanea, da David Bowie a Prince, passando per Glenn Frey, Keith Emerson e il suo sodale Greg Lake, Prince, Leon Russell, Leonard Cohen fino a George Michael, se ne sono andati, contribuendo a lasciare questo mondo privo di bellezza.
Nei fatti sono passati solo due anni da quando Pino Daniele è morto, e la sua assenza pesa come era prevedibile, ex post. Una morte improvvisa, la sua, dovuta a quel cuore matto che già da tempo lo teneva appeso a un filo, che in teoria lo avrebbe dovuto tenere lontano dalla sua amata musica, almeno dalla musica dal vivo, dai tour e dai concerti. Il cuore che l’ha tradito, lui che proprio sul cuore aveva basato la sua carriera. Una carriera importante, oggi ancora più impressionante, rivista da fermi, con la lucidità che il tempo che passa ci permette. In bilico perfetto tra la tradizione della sua città natale, quella Napoli da cui era dovuto scappare per troppo amore, e tutti quei suoni che arrivavano dall’America, il blues, innanzitutto, ma anche il rock, il soul, il funk.
Un modo, il suo, di ricucire tradizione e musica black, ridando linfa a quella tradizione, appunto, in buona compagna della Nuova Compagnia di Canto Popolare, di Bennato, di James Senese, Enzo Avitabile e tanti altri musicisti. Ma lui, Pino Daniele, aveva, ha innalzato quel nuovo genere a livelli altissimi, costruendo canzoni pop, radiofoniche, di una bellezza e complessità quasi inimmaginabili, inventando una lingua, non solo musicale, ma anche parlata, diventando classico in vita, sorte che tocca solo ai grandi. Poi, e qui forse il triste e tragico epilogo si era fatto quasi prevedibile, il mercato lo aveva in parte abbandonato. La discografia lo aveva in parte abbandonato.
Pino Daniele, una delle colonne del nostro patrimonio musicale, si sentiva isolato, negli ultimi mesi della sua carriera, e per questo stava rimettendo in discussione anche la sua arte, come se avesse ragione il mercato e non lui, come se la musica non dovesse inseguire la bellezza, il cuore. Poi la morte, improvvisa. Un attacco di cuore, e di cosa se no?, una corsa in macchina, nella notte, il più tragico e classico “non c’è stato niente da fare”. A seguire la morte il cordoglio, un po’ di lacrime di coccodrillo, il lutto cittadino, i ricordi, e a seguire, altrettanto prevedibili, le polemiche, le recriminazioni. Rumori di fondo incapaci, per fortuna, per nostra fortuna, di intaccare la bellezza della musica, quella sì rimasta a farci compagnia. Due anni senza Pino Daniele sono tanti, troppi. La sua musica è sempre lì, speriamo germogli e dia frutti che altri giovani artisti sappiano cogliere.