Brescia, “siamo nelle vostre strade, aspettiamo l’ora X”
Non si conosce con certezza l’obiettivo di Moutaharrik. Si sa invece cosa rimbalza nella mente Nadir Benchorfi, arrestato il 4 dicembre scorso nel suo appartamento di via Tracia 4, nel quartiere milanese di San Siro. Ad arrivare a lui sono gli uomini della Digos guidati dal dottor Claudio Cicimarra, secondo cui il 30enne marocchino stava pianificando un attacco in un importante centro commerciale della Lombardia, già fotografato e ripreso in diversi video. “Sono certi i suoi legami con una cellula di 25 foreign fighter partiti tra il 2012 e il 2014 dalla Germania per combattere con lo Stato Islamico, l’ha conosciuta in quegli anni durante la sua permanenza nel Paese – ricostruisce il dirigente Ciccimarra – È rimasto in contatto con due cugini a capo della brigata da quando è tornato in Italia, ha manifestato in più occasioni la sua disponibilità a combattere per la causa dell’Isis ma ha sempre chiesto un supporto tecnico (armi, per esempio) e logistico. Non ci risulta che questi inviti siano stati ascoltati”.
La base militare di Ghedi è invece l’obiettivo di un tunisino e di un pakistano arrestati dalla polizia di Brescia a luglio 2015 con l’operazione “Bay’a“ (la lealtà dichiarata al Califfato). Briki Lassaad, 35 anni, e Muhammad Waqas, 27, vivono e lavorano da anni a Manerbio, nel Bresciano. Documenti in regola e vite apparentemente normali, come quelle vissute da centinaia di migranti perfettamente integrati. Ma dietro il paravento di un’esistenza come le altre, i due studiano guide che girano in Rete per l’addestramento militare “fai da te”, ragionano sui target da attaccare e fanno propaganda su Twitter pubblicando fotografie del Duomo e del Colosseo accompagnate da messaggi di minaccia: “Siamo nelle vostre strade. Siamo ovunque. Stiamo localizzando gli obiettivi, in attesa dell’ora X“.
Il Bresciano viene toccato di nuovo da un’inchiesta dell’Antiterrorismo il primo dicembre di un anno fa. L’operazione “Van Damme” porta all’arresto di quattro kosovari tra Pristina, la Lombardia e il Veneto. Vengono tutti accusati di terrorismo internazionale. Il gruppo pubblica sul web foto con armi in pugno e in chat si scambia messaggi in cui giura che “Francesco sarà l’ultimo papa”. Le indagini gravitano intorno a Samet Imishti, che per anni ha vissuto in Italia e fa spola tra il Kosovo e la piccola cittadina di Chiari, base logistica del gruppo. Ma a preoccupare gli investigatori sono soprattutto i contatti che i quattro hanno con il connazionale Lavdrim Muhaxheri, uno dei più feroci macellai dell’Isis a capo della brigata balcanica che combatte in Siria.