Mentre arriva la notizia che Ispra ha classificato il Trentino Alto Adige come seconda regione italiana a livello di raccolta differenziata dei rifiuti, la nostra provincia provvede a incenerire il residuo indifferenziato, ricorrendo all’inceneritore di Bolzano. Davvero due notizie in antitesi tra loro. Ma andiamo per gradi, per capire come si sia arrivati a decidere di incenerire i rifiuti, nonostante la virtuosa raccolta differenziata che raggiunge percentuali elevate.
Correva l’anno 2009, quando il primo bando di gara per l’aggiudicazione della costruzione di un inceneritore a Trento andava letteralmente deserto. Poche le garanzie di poter bruciare quantità rilevanti di rifiuti, data la notevole escalation della percentuale di raccolta differenziata che era stata raggiunta e che, a oggi, sfiora l’80%. In quegli anni erano attive alcune associazioni (Nimby Trentino, Coordinamento Trentino pulito) che avevano promosso momenti formativi e informativi in merito a un progetto alternativo all’inceneritore, noto in Trentino come “progetto Cerani”, a nome dell’ingegnere che lo aveva predisposto (qui il link alla pagina dove trovate spiegato il progetto).
La classe politica trentina che era al governo ci classificò come “ciarlatani”, venditori di idee irrealizzabili, sostenendo che l’inceneritore sarebbe stata l’unica via per chiudere il ciclo dei rifiuti in Trentino. Dopo il primo bando di gara sopraccitato, andato deserto perché nessuna azienda di settore intravedeva guadagni interessanti, dato lo scarso residuo indifferenziato da bruciare, arrivò anche la chiusura dei finanziamenti pubblici all’energia elettrica prodotta da incenerimento dei rifiuti; così, il percorso prima definito come “l’unica via percorribile”, venne abbandonato definitivamente dalla politica trentina, che dichiarò che la costruzione di un inceneritore in Trentino non serviva più.
Non fu certo una scelta dettata da convinzioni ecologiche e ambientaliste, bensì una pura e mera constatazione che tale via non avrebbe dato guadagni sufficienti a sostenerne l’ammortamento economico nel tempo. Comunque, le associazioni ambientaliste avevano vinto una battaglia importante, perché oltre all’impatto ambientale devastante che avrebbe avuto sull’economia agro-turistica trentina, avevano pure evidenziato le gravi lacune economiche che poi, di fatto, si sono rivelate fondate.
I “ciarlatani”, improvvisamente avevano avuto le prove del loro buon operato. Da allora, però, il problema della “chiusura del cerchio” dei rifiuti è rimasto irrisolto; da una parte una raccolta differenziata che aumentava notevolmente, attestandosi ai livelli attuali che sfiorano circa 80%, dall’altra parte il tema del residuo indifferenziato che rimaneva non gestito e, quindi, portato in discarica.
In questi ultimi due anni molto si è parlato qui in Trentino di costruire impianti di recupero del materiale residuo; impianti che prevedessero il trattamento del rifiuto con la produzione di Css (combustibile solido secondario) che certamente ha un mercato, ma sempre si tratta di combustibile ad alto inquinamento (plastiche che bruciano: diossine e nanoparticelle nell’aria che respiriamo) e, ultima novità nel piano rifiuti n°4 del 2014, anche la possibilità di valutare impianti di riciclaggio ulteriore, come proposto dalle associazioni.
Sembrava che ci fosse davvero un’apertura alle innovazioni tecnologiche “amiche” dell’ambiente; sembrava che, finalmente, l’Autonomia Trentina avesse agito davvero con spirito autonomo e nella direzione giusta di salvaguardia e tutela dell’eco-sistema agro turistico che la provincia di Trento vanta come fiore all’occhiello. Sembrava. Perché in questi giorni la provincia autonoma di Trento ha chiuso un accordo con la provincia autonoma di Bolzano; in questo accordo il residuo indifferenziato del Trentino finirà nell’inceneritore già esistente a Bolzano che è in deficit di prodotto e, quindi, abbisogna di materia prima.
Si torna all’idea originaria, si torna all’inceneritore. Non a Trento, ma a Bolzano, cioè a soli 50 km di distanza da dove prima si voleva costruire quello trentino. Praticamente, non cambia proprio nulla. Le quantità di raccolta indifferenziata di rifiuti trentini saranno bruciate e passeranno per il camino che butterà in aria nanoparticelle e diossine che si riverseranno nelle stesse campagne dove si coltivano viti pregiate che danno vita ad altrettanti vini famosi quali, ad esempio, il Teroldego, vero fiore all’occhiello delle aziende vitivinicole trentine. In aggiunta a ciò, aumenterà il traffico veicolare, dato che i camion trentini viaggeranno verso Bolzano per portare i rifiuti da bruciare. Altro aggravio ambientale.
E tutti tacciono. Le associazioni ormai sono disgregate, avendo precedentemente chiuso gli obiettivi; la politica ambientalista trentina praticamente non esiste più, dato che le forze politiche che pure si erano impegnate nel passato, sono praticamente inesistenti e nulla più organizzano in tema di proposte e dibattiti e manifestazioni. Le associazioni di categoria (contadini, esercenti del turismo) sono in ossequioso silenzio, non rendendosi conto che ciò per cui si erano battute nel passato, ora è stato realizzato; non nel loro giardino, certamente, ma in quello adiacente. Credono davvero che le influenze di tali emissioni stiano alla larga dai propri confini?
Davvero una tristezza che, alla fine, si sia arrivati ugualmente al risultato che la politica trentina progettava più di dieci anni fa, cioè l’incenerimento dei rifiuti. Nulla è cambiato, sempre le solite politiche ambientali. Poi ci lamentiamo se il clima cambia, se l’inquinamento aumenta, se i tumori dettati da inquinamento atmosferico aumentano.