“Il rapporto di fiducia è in crisi“. È il ministro degli Esteri turco Mevlut Cavusoglu a ufficializzare il momento di difficoltà attraversato dall’alleanza tra gli Stati Uniti e la Turchia, Paese membro della Nato, che negli ultimi mesi si è progressivamente avvicinata alla Russia.
“Gli Stati Uniti sono per noi un alleato molto importante. Cooperiamo in ogni ambito – ha ricordato Cavusoglu – ma al momento il rapporto di fiducia è in crisi”. Alla base delle tensioni c’è in primo luogo l’offensiva delle forze armate turche per strappare al-Bab all’Isis, che “non ha ricevuto l’appoggio della coalizione contro lo Stato Islamico”, guidata dagli Stati Uniti. Il colonnello dell’Air Force John Dorrian, portavoce della coalizione, ha invece dichiarato che “il sostegno alle operazioni turche dentro e intorno ad al-Bab continuerà”. Cavusoglu ha contestato invece proprio il mancato sostegno all’esercito turco nell’ambito dell’operazione ‘Scudo dell’Eufrate‘ e ha avvertito a questo proposito che “la Turchia ha iniziato a mettere in discussione l’utilizzo della base di Incirlik da parte della coalizione”. “La nostra gente – ha aggiunto – si chiede, ‘perché le forze della coalizione stanno usando la nostra base aerea?’ Quale scopo avete se non fornite supporto aereo contro Daesh nell’operazione per noi più sensibile?”
Il capo della diplomazia di Ankara ha quindi puntato il dito contro quella che non ha esitato a definire una promessa “non mantenuta” dagli Usa riguardo il ritiro delle milizia curde dell’Unità di Protezione del Popolo (Ypg), da Manbij, nel nord della Siria. “Fornire armi alle Ypg significa che gli Usa si sono scelti un’organizzazione terroristica come alleato”, ha sentenziato Cavusoglu, precisando che nei giorni scorsi una delegazione congiunta Turchia-Usa è stata inviata a Manbij senza ottenere risultati soddisfacenti per Ankara. “Sappiamo che le forze dell’Ypg sono a Manbij, come ha affermato ieri il nostro presidente. Obama ha detto che è d’accordo con noi sul fatto che queste forze dovrebbero ritornare a est dell’Eufrate”, ha dichiarato il ministro, evidenziando nuovamente che però Washington finora “non ha mantenuto le promesse”.
Il terzo punto di criticità era emerso invece già nella scorsa estate. Cavusoglu infatti è tornato sulla questione dell’estradizione del predicatore Fethullah Gulen, ritenuto dal presidente turco Erdogan la mente del fallito colpo di stato dello scorso 15 luglio. “Il leader terrorista minaccia liberamente la Turchia, dà istruzioni e invia messaggi dagli Usa”, ha sostenuto il ministro. Gulen, predicatore e politologo turco, a capo del movimento Hizmet (Il servizio), ha negato ogni responsabilità riguardo al tentato golpe. In esilio volontario negli Usa dal 1999, dopo essere stato anche alleato del presidente Erdogan, attualmente vive in Pennsylvania. “Prima o poi gli Usa dovranno fare una scelta. O la Turchia o l’organizzazione gulenista del terrore”, aveva detto lo stesso Erdogan nell’agosto scorso. “Purtroppo non abbiamo visto alcun sostegno dell’amministrazione Obama”, ha constatato ora il suo ministro degli Esteri.