Il nuovo codice etico del M5s e l’ennesima accusa lanciata dal blog da Beppe Grillo contro tv e carta stampata sono stati messi in un unico pentolone e cucinati secondo una consolidata ricetta. “I giornaloni”, senza contare le copertine dei tg nazionali, e quei “ricettacoli di inquisiti, imputati e condannati impuniti che sono i partiti di destra, centro e sinistra”, secondo la definizione sintetica di Marco Travaglio difficile da contestare attenendosi ai fatti, hanno puntualmente demolito le regole che escludono qualsiasi automatismo tra avviso di garanzia e dimissioni.
E l’hanno fatto naturalmente citando a sproposito il garantismo e puntando minacciosamente l’indice contro il presunto salvataggio di Virginia Raggi che dovrebbe essere messa al riparo dall’avviso di garanzia che per momento le hanno indirizzato i media, il Pd e Gasparri.
Gli slogan più fantasiosi e gettonati tra le teste d’uovo renziane per stigmatizzare “la svolta garantista” di Grillo, anche se stando a quanto avvenuto finora nessun eletto in quota M5S era stato mai sospeso né tantomeno espulso esclusivamente per l’iscrizione nel registro degli indagati o per aver ricevuto un avviso di garanzia, vanno dal “codice salva-Raggi come legge salva-Previti” lanciato da Michele Anzaldi allo sfottò demenziale di Andrea Romano “il M5S è passato da onestà-onestà a maestà-maestà” in riferimento al presunto strapotere del garante nel valutare i singoli casi.
E in perfetta, singolare consonanza con le accuse lanciate dal Pd e da FI, dall’alto dell’indiscussa competenza sui provvedimenti ad personam, si collocano titoli e “retroscena” delle grandi testate, tra cui brilla ancora una volta La Stampa che allerta i lettori sugli stratagemmi degli “strateghi” della Casaleggio per “fare della Raggi una martire” secondo un piano molto suggestivo che tra loro chiamano “Operazione Giovanna D’Arco”.
Sempre secondo quanto riferisce Ilaria Lombardo, la folgorazione per i maghi mediatici della Casaleggio sarebbe venuta quando la Raggi si è commossa alla messa di Natale alla Caritas, episodio “toccante” peraltro ignorato dai media dopo settimane di assedio ininterrotto, spezzando lo stereotipo dell’algida ambiziosa senza cuore. L’aspetto più divertente dell’operazione, molto al di là delle intenzioni di chi la descrive, è che “la narrazione mediatica” che deve far passare Virginia Raggi “per vittima dei poteri forti e dell’accanimento dei media sempre pronti ad alimentare il rogo del martirio”, in vista del voto anticipato, non è un parto delle menti diaboliche di Grillo e Davide Casaleggio, ma la semplice ricostruzione dei fatti secondo un numero molto rilevante di lettori, telespettatori e, prima o poi, cittadini elettori.
Infatti se tutti i limiti e l’inadeguatezza dimostrata alla prova dei fatti pur in una situazione proibitiva come Roma non hanno seriamente intaccato il consenso per il M5S un motivo c’è: ed è in primo luogo l’accanimento, l’ossessione, il desiderio di linciaggio quasi sempre prevalente sull’analisi e sulla critica che hanno mostrato all’unisono i cascami della partitocrazia e la casta giornalistica accomunati dall’autoreferenzialità e dal dogma del primum vivere.
Forse sarebbe il caso, al di là degli eccessi o delle provocazioni di Grillo sui tribunali del popolo per difendersi dalla disinformazione e dalle falsità delle tv e dei giornali, che pre-esistono alle bufale del web e di cui noi italiani continuiamo a essere vittime dopo un ventennio berlusconiano e un biennio renziano, di non sottovalutare il discredito diffuso di cui “godono” i media tradizionali e che induce a rifugiarsi sul web.
Se online proliferano le bufale e certamente non sono addebitabili tout court, come puntualmente viene fatto, a Beppe Grillo e al M5S che hanno subito accuse odiose per fake di cui sono stati vittime come quello a cura della signora Brunetta alias Beatrice Di Maio, il rimedio non può essere di natura censoria come sembra suggerire se non imporre l’establishment politico- istituzionale. E mettere all’indice chi dice che le notizie false non le fabbrica solo il web e che la censura non è la soluzione, non migliora la qualità del web e non fa nemmeno aumentare la fiducia nel giornalismo tradizionale né il numero delle copie vendute.