“Servizi di intelligence stranieri” potrebbero aver avuto un ruolo nella strage di Capodanno ad Istanbul rivendicata dall’Isis, considerata la “professionalità” del killer. A lanciare l’accusa è il vice primo ministro turco, Numan Kurtulmus, in un’intervista al quotidiano Hurriyet. “Sono dell’opinione che non sia possibile che l’autore abbia eseguito un simile attacco senza alcun aiuto. Sembra una cosa da servizio segreto. Tutte queste cose vanno valutate”, ha affermato Kurtulmus, senza aggiungere ulteriori dettagli. Intanto, dopo annunci e smentite, continua la caccia all’uomo dopo che le autorità hanno fatto sapere di aver identificato il killer del club Reina che ha ucciso 39 persone, anche se le sue generalità non sono state rese note.
Continuano anche gli arresti. Dopo i 40 di ieri, all’alba di stamani la polizia ha compiuto un’operazione a Silivri, un distretto della provincia di Istanbul. Non è chiaro al momento quante persone siano finite in manette. Secondo le fonti, rimaste anonime, i sospetti apparterrebbero alla comunità uiguri, minoranza turcofona di religione islamica che vive nel nord-ovest della Cina. I sospetti arrestati sono accusati di essere complici del killer della strage, ancora latitante.
Intanto il governo turco si dice ottimista per quanto riguarda il miglioramento delle relazioni con gli Usa sotto la presidenza di Donald Trump. A dirlo è ancora Numan Kurtulmus, all’indomani delle dichiarazioni del ministro degli Esteri turco, Mevlut Cavusoglu, che ha parlato di una “crisi nel rapporto di fiducia” tra la Turchia e gli Stati Uniti. “Attualmente abbiamo un rapporto teso con gli Stati Uniti ma non penso che sarà così a lungo. Credo che questa tensione presto si allenterà”, ha affermato Kurtulmus, riferendosi all’insediamento del presidente eletto Trump previsto il 20 gennaio. Il vice primo ministro turco ha auspicato in particolare che Washington conceda il via libera all’estradizione dell’imam Fethullah Gulen, ritenuto da Ankara la mente del fallito golpe del 15 luglio, e interrompa l’alleanza con le milizie curde dell’Ypg in Siria.
Anche su questo fronte, dopo le epurazioni di questa estate, arriva una nuova ondata di arresti. La procura di Ankara ne ha emessi 105 per le mogli di militari sospettati di aver avuto un ruolo nel fallito golpe e di far parte della rete di Gulen. Tra le donne colpite dal mandato di arresto figurano le mogli di due colonnelli e di 40 maggiori dell’esercito. Sono tutte accusate di aver finanziato la rete di Gulen, di aver eseguito transazioni economiche attraverso la Bank Asya, istituto di credito messo sotto sequestro proprio per i suoi presunti legami con l’imam, e di aver avuto contatti con esponenti del movimento. Le operazioni di arresto sono in corso in 31 province del Paese.
Ma le epurazioni di Erdogan toccano anche l’Italia. Ne dà conto la Repubblica, secondo cui la purga sarebbe partita da Napoli e da Roma a fine 2016 e avrebbe colpito alti ufficiali assegnati alla base Nato del capoluogo campano e personale dell’ambasciata turca nella capitale, tutti sospettati di far parte della rete di Gulen. Gli ufficiali sono tutti accusati – dalla stessa Nato – di aver fotocopiato documenti segreti poi passati all’organizzazione dell’imam. L’indagine è partita dopo l’arresto del generale in forza alla Nato Mujdat Uzun, che subito dopo il fallito golpe da Napoli è stato richiamato ad Ankara dove è stato accusato di aver fatto rubare ai suoi collaboratori carteggi sensibili. Da Napoli, così, altri 37 ufficiali su 56 sono stati richiamati in patria. Alcuni hanno eseguito l’ordine, altri sono rimasti in Italia, altri ancora hanno chiesto asilo in Germania. Mentre dall’ambasciata turca a Roma sono stati richiamati da Ankara undici persone, tra funzionari e militari.