Renzi ha “straperso” il referendum sulle riforme costituzionali. A predestinare la perdita c’era ovviamente la banale conta degli oppositori che per numero di voti nel Paese sovrastavano in partenza la maggioranza parlamentare identificata col alle riforme. Una difformità di maggioranze, fra la popolare e la parlamentare, effetto del Porcellum e dei cambi di schieramento susseguitisi dopo le elezioni, nonché della opposizione interna al PD medesimo.

Tuttavia, la speranza dei fautori del Sì, noi tra questi, era che nel Paese allignasse una qualche misura di trasversalismo riformatore che al momento del voto avrebbe guardato ai contenuti. E invece il venticello contenutistico è stato sovrastato dal rombo della protesta. Anzi, diremmo, delle proteste.

Ad esempio, parrebbe certo che la riforma della scuola sia stata per Renzi l’equivalente della campagna di Russia, dove Napoleone perse penne e certezze. Così, nugoli di famiglie dove lei o lui erano stati costretti al trasferimento a proprie spese pur di agguantare il posto di ruolo, alla prima occasione hanno fatto secca l’utopia “dell’algoritmo imparziale” che li distribuiva per l’Italia e stanno già cannoneggiando alla Beresina (il culmine della ritirata della Grande Armata francese) del “riparliamone”.

E forse c’è stato un altro venticello di protesta che ha contribuito alla straperdita: quello contro il canone in bolletta. Che ha impedito di fatto la diffusa e fiera pratica della evasione. Diamo uno sguardo infatti alle Regioni in cui per mezzo secolo il canone è stato metodicamente evaso (il Lazio al 36%, Campania, Calabria e Sicilia attorno al 45%) in misura tale che da quelle parti a volerlo pagare si passava per asociali. Tanto più che non si trattava di una tassa qualunque, ma di un istituto di alto valore simbolico (“la tassa più odiata dagli italiani”) e una intollerabile estorsione, in presenza della tv “gratuita” somministrata dalle tv commerciali.

A dirla più in breve, a gonfiare la straperdita ha contribuito di certo, lo diciamo a naso, anche la scarsa legittimazione nel senso comune popolare della esistenza stessa della Rai, sicché trovarsi costretti a finanziarla è stato ritenuti uno, e non il meno evidente, degli “intollerabili abusi” contro i quali correre a pronunciare il No.

A proposito: l’ex evasore, inviperito per la mancata evasione cui è stato costretto, magari non sarà attento alle ultime notizie da viale Mazzini. Ma casomai vi si fosse imbattuto, potrebbe constatare che la Rai, quella dell’informazione, dice No alle riforme istruite e proposte si ributta su quelle de-cantate (Freccero tenore). Così l’ex evasore vieppiù si convincerà che la sua evasione d’un tempo, anziché Vizio era Virtù, perché evitava di buttare soldi in imprese che fanno di tutto per mostrarsi scarsamente affidabili.

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