Molti anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale, nelle foreste del Borneo, si trovavano ancora dei soldati giapponesi che, fedeli all’Imperatore, continuavano a combattere. Qualcosa del genere sta avvenendo anche da noi, a oltre un mese dal referendum costituzionale. Quando Blob trasmette le immagini della campagna referendaria di Matteo Renzi, paiono ormai cinegiornali Luce. Eppure, nelle giungle dell’informazione continuano ad aggirarsi gli ultimi giapponesi del renzismo.
Prendete l’articolo di Michele Salvati comparso sul Corriere del 3 gennaio, sotto il titolo Una coalizione riformista contro i populismi. Titolo doppiamente infelice. Intanto perché, come ammette lo stesso autore, la coalizione non c’è; ma poi, e soprattutto, perché non ci sono neppure i populismi. Salvati infatti, usa in modo casual la parola “populismo” per indicare tutto ciò che gli dispiace: Trump, Le Pen, il leghismo, il M5S, le epidemie, il terrorismo islamico, il satanismo…
Capita raramente, in effetti, d’incontrare un’incomprensione così completa di quanto sta avvenendo nel nostro paese. Per darvi un’idea, basterà la frase seguente: «Inutile illudersi che [gli italiani] si rendano conto dell’estrema difficoltà del compito riformatore, [e che] portino pazienza e facciano sconti a chi governa, specie quando i media, le procure, i movimenti populisti, li bombardano con continui episodi di incompetenza e corruzione» (corsivi miei).
Scusa Michele, ma qualcuno dovrà pur dirti che gli italiani non sono così scemi. Al contrario, sembrano essersi resi perfettamente conto, loro, che le riforme di Renzi erano una truffa. Intendo le riforme costituzionali, l’Italicum, il Jobs Act, la Buona Scuola, gli stessi Centri d’identificazione ed espulsione, questi lager a cielo aperto gestiti dalle cooperative così care al ministro Poletti. Tutto questo, caro Michele, gli italiani l’hanno capito benissimo. E tu?