Gaetano Serrano, 33 anni, da cinque vive in Spagna. Ha deciso di andarsene perché trovare un'occupazione stabile e regolare era impossibile. E all'estero ha creato la sua azienda, che sviluppa applicazioni di “realtà aumentata”. "Il modello Italia ti fa credere che il lavoro sia un lusso, mentre dovrebbe essere un diritto"
“Tu a chi paghi?”, sentiva ripetere dai suoi amici imprenditori. Così, per evitare di cadere nel vortice in cui l’estorsione viene percepita come la regola, Gaetano Serrano aveva accantonato il pensiero di seguire un progetto in proprio. “O’ Napulitan se fa sicc ma nun more” (“il napoletano dimagrisce, ma non muore”). Ed ecco il giovane di Capodimonte mettere in pratica l’arte di arrangiarsi: venditore nei mercati rionali e poi di assicurazioni, muratore, operaio in fabbrica, cameriere, aiuto fotografo ai matrimoni.
“Il 90% di questi lavori era ovviamente in nero e sottopagato”. Tra le esperienze che hanno portato il 33enne a scegliere di cambiare vita, c’è stato l’ennesimo corso di formazione per un call center, dove “mi spiegavano tecniche su come fregare la gente”. Oltre a dirgli che, se non avesse venduto un minimo di contratti, non avrebbe ricevuto neppure il fisso mensile. “Ad oggi nella mia azienda abbiamo venduto circa 300mila euro in progetti. Naturalmente, senza fregare nessuno”. Un’impresa che ha sede a Barcellona perché l’Italia, per Gaetano, resta “un paese che spezza i sogni”, trasformando “ciò che dovrebbe essere la normalità di un posto di lavoro fisso in un sogno irraggiungibile”.
Così a 28 anni Gaetano decide di “piglia a’ via mia”, come si dice a Napoli, e prendere un biglietto di sola andata per la città spagnola. Qui, dopo poco circa un anno, insieme al socio messicano Rolando Garcia, nasce Smartech Group, impresa che si occupa dello sviluppo di applicazioni di “realtà aumentata”, una tecnologia che permette, inquadrando con la fotocamera del proprio cellulare o tablet dei supporti stampati (come mappe o cartoline) di vedere proiettati modelli 3D, video e foto a 360 gradi. In altre parole, per fare un esempio tutto italiano, si tratta di un’app dedicata ad attrazioni turistiche che porta l’utente a vedere proiettato in 3D il Colosseo e ascoltarne la storia con un’audioguida.
“Attualmente abbiamo 21 filiali, di cui cinque in Italia”, racconta Gaetano dal sesto piano del suo ufficio nel quartiere bohemien di Gràcia, a nord ovest del centro cittadino. “Abbiamo uno staff di dieci persone: possiamo dire che riusciamo a dare lavoro”, continua il co-fondatore della start-up. Poi la voce si ferma, e il discorso torna su un altro degli episodi che lo avevano convinto ad andarsene dall’Italia. “Quando vivevo a Napoli conoscevo un amico che pagò 20mila euro per essere assunto a tempo indeterminato da un ipermercato e avere uno stipendio di 800 euro al mese. Il modello Italia ti fa credere che il lavoro sia un lusso, mentre dovrebbe essere un diritto”.
Quando torna in patria, una malinconia lo assale nel vedere alcuni dei suoi più cari amici, a 30 anni, vivere con le famiglie e ricevere ancora le paghette. “Che futuro avranno se rimangono lì?”. Poi, il paragone con la Spagna viene quasi naturale: “Qui non è il paradiso. Io passo anche 12 ore in ufficio e la Spagna non sta passando un buon momento. Però Barcellona riesce a differenziarsi per qualità della vita e opportunità e tutti gli italiani che conosco qui, hanno un lavoro”. Se avesse un figlio, gli direbbe di cercare un lavoro all’estero. Eppure lui, in ufficio, il 33enne continua a parlare in dialetto napoletano. “Mi manca svegliarmi con l’odore del caffè, camminare sul lungomare più bello del mondo, le pizze con gli amici. Ma non mi mancano Equitalia e i furbi che provano sempre a fregarti”.
Gaetano sente di dovere molto a Napoli che gli ha insegnato a sapersi arrangiare ma anche a relazionarsi con chi vuole prendersi gioco di te. “Napoli per me è mia mamma, la mia famiglia, gli amici, tutto”. Come l’attore Massimo Troisi, il 33enne sorride quando racconta di sognare e pensare in napoletano. “Tetro ma vero, la mia tomba sarà a Napoli. Ma prima di allora non tornerò più in Italia”. La difficoltà più grossa di vivere all’estero? “Mi manca l’amore incondizionato di mia madre che mi faceva vivere come un re. Ma io non sono un re”.