Cittadinanza revocata ai cittadini turchi all’estero accusati di crimini contro lo Stato. E’ l’ultima decisione presa dall’esecutivo turco sulla base dello stato d’emergenza, entrato in vigore dopo il tentato golpe del 15 luglio scorso. La nuova misura, rivolta in particolare a chi è accusato di aver partecipato al golpe o di far parte di un’organizzazione terroristica armata, prevede la revoca della cittadinanza ai cittadini accusati di reati gravi che si rifiutano di rientrare in patria per farsi processare.

La nuova legge arriva dopo l’attentato che ha colpito il Paese due giorni fa, il 5 gennaio, in cui un’autobomba è esplosa nei pressi del tribunale di Smirne e che segue la strage di Capodanno al Reina Club di Istanbul, in cui un attentatore ha ucciso 39 persone.

Intanto continuano le epurazioni nel paese. Altri 8.000 dipendenti statali sono stati licenziati per presunti legami con organizzazioni terroristiche. Il provvedimento è contenuto nella gazzetta ufficiale pubblicata ieri sera e stabilisce anche la chiusura di 83 associazioni, numero che porta a 1.500 il numero di organizzazioni colpite. Tra i dipendenti presi di mira dalla nuova misura figurano 2.687 ufficiali di polizia, 1.699 impiegati del ministero della giustizia e 631 accademici e vanno ad aggiungersi alle almeno 100.000 persone già sospese o licenziate.

Le epurazioni si sono concentrate negli ambienti che avrebbero legami con Fethullah Gulen, un ex alleato del presidente Recep Tayyip Erdogan divenuto suo acerrimo nemico e residente ora negli Stati Uniti. Tra le personalità colpite anche chi ha legami con il Pkk, il partito dei lavoratori curdi, al bando.

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