Vladmir Putin ordinò attacchi informatici per influenzare le elezioni presidenziali, perché aveva una “chiara” preferenza per il repubblicano Donald Trump e voleva aiutarlo a conquistare la Casa Bianca screditando Hillary Clinton. Lo hanno affermato le agenzie di intelligence statunitensi, in un dossier declassificato reso pubblico venerdì e consegnato al presidente uscente Barack Obama e al futuro capo della Casa Bianca. Che venerdì ha incontrato i vertici delle agenzie per essere informato sulle conclusioni dell’inchiesta. Trump, che tra due settimane giurerà da 45° presidente degli Stati Uniti, ha ripetutamente respinto le accuse di hackeraggio della Russia, ma ieri ha corretto parzialmente il tiro aprendo alla possibilità di interferenze di Mosca, seppur sottolineando che in ogni caso il risultato del voto non è stato falsato.
La reazione di Trump – che ha definito l’incontro “costruttivo” promettendo anche una task force per la cybersicurezza – viene però considerata una ‘ammissione a metà‘ da alcuni. Dai democratici naturalmente, che chiedono al presidente eletto adesso di condannare a chiare lettere l’operato della Russia e di garantire agli americani che non intende mostrare il fianco. Ma anche da diversi repubblicani, che sul nuovo approccio verso Mosca imbastito da Trump hanno sempre avuto da ridire.
Il report dell’intelligence – Il dossier declassificato di 25 pagine è stato redatto dalle principali agenzie di intelligence del Paese, Federal Bureau of Investigation (Fbi), Central Intelligence Agency (Cia) e National Security Agency (Nsa). Il documento, prima della diffusione pubblica, era stato presentato a Trump, che aveva incontrato i vertici delle agenzie. “Riteniamo che il presidente russo, Vladimir Putin, abbia ordinato una campagna d’influenza sulle elezioni”, afferma il dossier. “Gli obiettivi della Russia erano minare la fiducia pubblica nel processo democratico statunitense, denigrare la segretaria Clinton e danneggiare la sua eleggibilità e potenziale presidenza. Affermiamo inoltre che Putin e il governo russo avessero sviluppato una chiara preferenza per il presidente eletto Trump”, si legge nel documento. Le agenzie concludono con diversi gradi di sicurezza che Putin e il governo russo abbiano “aspirato a sostenere le possibilità del presidente eletto Trump, quando possibile, screditando la segretaria Clinton e contrastando pubblicamente lei a favore di lui”.
Trump: “Caccia alle streghe” – Dopo aver ricevuto il dossier e aver incontrato alla Trump Tower i vertici dell’intelligence, il presidente eletto ha parzialmente rivisto la sua posizione. Poche ore prima degli incontri aveva parlato, in un’intervista al New York Times, di “caccia alle streghe” organizzata dai suoi avversari politici, “usciti molto male dalle elezioni” e per questo “molto in imbarazzo”. E, prima, aveva più volte accusato le agenzie di essere politicizzate. Dopo il briefing ha invece ammesso che vari attori, tra cui anche la Russia, “stanno ampiamente tentando di violare le infrastrutture informatiche” americane a vari livelli, quindi ha annunciato che nei suoi primi 90 giorni alla Casa Bianca presenterà un piano per la sicurezza informatica. Ma ha anche ribadito che comunque “non c’è stato alcun effetto sul risultato delle elezioni, anche perché non ci sono state alterazioni nelle macchine di voto“. Su Twitter ha anche accusato di “clamorosa negligenza il Democratic National Committee che ha permesso agli attacchi hacker di verificarsi”, dicendo che il comitato repubblicano li ha evitati perché “aveva una forte difesa”.
L’ultimatum agli ambasciatori: “Lasciate prima del 20 gennaio” – E E’ in questo clima che il Congresso, riunito in seduta comune, ha certificato che Donald Trump sarà il prossimo presidente degli Stati Uniti, e che il suo vice sarà Mike Pence. Trump e Pence si insedieranno il 20 gennaio nella tradizionale cerimonia ufficiale a Washington per il giuramento che metterà fine alla transizione cominciata con le migliori intenzioni ma sfociata in uno scontro tra due visioni del mondo, la sua e quella del suo predecessore Obama. Allora la promessa di rompere con il passato passa anche per usi consolidati, come le nomine dei rappresentanti diplomatici: il presidente eletto avrebbe chiesto agli ambasciatori ‘politici’ nominati da Obama di lasciare l’incarico entro il 20 gennaio. Le precedenti amministrazioni avevano invece garantito, caso per caso, estensioni degli incarichi per settimane o anche mesi, un passaggio ritenuto utile per non creare vuoti inopportuni.
E dato che si deve voltare pagina così brutalmente, si attrezza anche l’amministrazione uscente che, in vista dell’ingresso di Trump alla Casa Bianca, mette la sua legacy nero su bianco. Su incarico di Obama, i responsabili di ministeri e agenzie hanno affidato ad inconsueti Cabinet Exit Memos sfide e conquiste degli otto anni a Washington. Il segretario di Stato John Kerry, l’ambasciatrice all’Onu Samantha Power, i responsabili dei ministeri economici, dell’ambiente e della giustizia, hanno rovesciato sulla squadra di Trump e sul pubblico americano valanghe di carta, sottolineando i punti di forza dell’era Obama, dall’accordo sul nucleare iraniano alla ripresa dei rapporti con Cuba, dall’intesa sul clima alla bestia nera della futura amministrazione repubblicana: l’Obamacare, la copertura sanitaria per tutti.