“Non vorremmo dover constatare che il diritto di critica e la mobilitazione sociale valgano ormai, per un pezzo di ‘compagni di strada’, solo per i personaggi dei fumetti e non per le persone in carne ed ossa”. La Cgil rende così pan per focaccia a Sergio Staino. Il direttore dell’Unità, in un editoriale pubblicato sabato sul quotidiano del Pd, aveva dato fuoco alle polveri accusando la Confederazione di aver imboccato, sotto la guida di Susanna Camusso, una strada troppo lontana da quella tracciata da storici leader come Luciano Lama e Bruno Trentin che ha insegnato al padre di Bobo “quanto sia deleterio e nefasto per le sorti della democrazia il fatto che il sindacato possa mettersi alla coda delle più demagogiche manifestazioni popolari“. Tanto da far dire a Staino che “penso sempre a questi due luminosi personaggi ogniqualvolta inciampo in una tua (della Camusso, ndr) manifestazione estemporanea e penso con molto dolore che tu ormai non hai quasi più nulla da condividere con loro”.
Il punto, in particolare, per il direttore del quotidiano fondato da Gramsci, è che la Camusso non ha fatto suo l’obiettivo principe di sindacalisti del calibro di Lama e Trentin: educare e far crescere i lavoratori , “dar loro la capacità di sentirsi attori principi della costruzione della democrazia, eliminando tutte quelle forme di ribellismo sterile e fine a se stesso che la lezione storica marxista liquidava con l’aggettivo ‘sottoproletario’. Solo in questo senso il sindacato avrebbe potuto svolgere il suo ruolo di interlocutore del Parlamento e del Governo, alternando il dialogo alla lotta per i propri diritti”. Un dialogo che l’attuale Cgil secondo Staino non cerca affatto. “Purtroppo nella tua azione e nel tuo pensiero, Susanna, io non ritrovo questo obiettivo così alto e così doveroso per un sindacato che abbia la voglia di migliorare la condizione del mondo del lavoro in una democrazia avanzata qual è la nostra – ha affondato il fumettista – Ormai la tua azione è solo un continuo, ripetitivo attacco al governo di turno, senza offrire al contempo un progetto, una prospettiva e una conseguente azione politica. Un sindacato non può rimanere sulle barricate a tempo indeterminato aspettando che si cambi il governo. È un’attesa sterile. Tu devi imparare a confrontarti con la politica, a dialogare, a contrattare, tenendo il sindacato lontano dalle singole strategie dei partiti”.
Altrimenti? “Con questo atteggiamento e sotto la tua direzione la Cgil sta correndo il rischio, terribile, di diventare una vociante folla indifferenziata, senza più alcuna connotazione di classe e soprattutto di una classe responsabile nei confronti della società e delle sue istituzioni democratiche”. Gli esempi? Prima la partecipazione alla campagna referendaria in prima linea sul fronte del no e poi, com’era prevedibile, la consultazione popolare sul Jobs Act i cui quesiti saranno al vaglio dalla Corte Costituzionale tra un pugno di giorni e hanno preso il posto del referendum costituzionale nel ruolo di campo di battaglia del Partito Democratico. Come dimostra del resto la stessa presa di posizione di Staino. Secondo il quale l’imbarazzante caso dello Spi Cgil emiliano pescato a utilizzare i deprecati voucher per pagare le collaborazioni, dovrebbe dimostrare alla Camusso l’esagerazione della posizione della Confederazione. “Non ti sembra che hai perso il senso della realtà delle cose, della loro concretezza? Tutte cose che invece non mi sembra abbiano perso quei compagni dello Spi-Cgil”, recita la premessa della lezione di vita finale: “Cerca quindi di ritornare sui grandi binari della nostra storia sindacale, della nostra esperienza, delle nostre lotte di unità e di progresso”.
Toni e modi inaccettabili secondo la Cgil, che ha replicato domenica mattina con una nota firmata da tutta la segreteria nazionale e dai segretari di categoria, come a sottolineare che a dettare la linea della Confederazione non è una donna sola al comando (e allo sbando), bensì un “collegio” che condivide obiettivi e strategie. Strategia che, rivendica la Cgil, non ha affatto trascurato dialogo e mediazione come dimostrano l’accordo quadro per il rinnovo dei contratti pubblici, il verbale di sintesi in tema di previdenza e l’intesa su rappresentanza e rappresentatività. In pratica, rivendica ancora la Confederazione, l’unico e fondamentale terreno di scontro con il governo, per altro da una quindicina di anni, sono “le politiche sul lavoro, l’assenza di una strategia per l’occupazione, la pervicace azione contro i diritti individuali e collettivi”. Forse, quindi, esorta la Cgil “anche tu dovresti chiederti se l’evidente fallimento delle politiche del rigore e dell’austerità, la sconfitta della teoria che precarizzando il lavoro e riducendo i diritti si sarebbe creata più occupazione, non richiederebbero ad una maggioranza di Governo, che si definisce riformista, un deciso cambio di verso”.