Da qualsiasi verso si girino le dimissioni di Carlo Verdelli, un punto è del tutto chiaro e cioè che la costituzione materiale della Rai nel settore informazione è un groviglio di fili (la politica vecchia, la politica nuova, le corporazioni, le Regioni, l’INPGI etc) che chi li tocca muore. Verdelli, ha impiegato una decina di mesi a prendere le misure alla questione. E’ vero, dieci mesi sono un attimo per un “esterno” e troppo per il ciclo vitale di un vertice Rai. Ma tuttavia, a leggere i giornali, il Nostro pareva giunto davvero al concreto, sventando gli approdi declamatori (tipo “la riforma deve essere innanzitutto deontologica e culturale”) e le banalità del manager della domenica (tipo “lotta a sprechi e ridondanze”).
E comunque, a frittata ormai fatta, è evidente che anche se le proposte le avesse miracolosamente formulate il giorno stesso della nomina, l’accoglienza del CdA non sarebbe cambiata perché quel consesso è stato composto con profili tali che rispetto alla competenza attiva prevale la rappresentatività passiva (politica e corporativa, magari in salsa narcisistica). Da qui la diffidenza, frutto anche di paura dell’ignoto, di fronte a proposte che guardino appena al di là del naso.
Sta di fatto che, dopo avere cincischiato per una anno, la Rai ha mancato una vera riforma delle strutture informative, e cioè l’unica davvero essenziale. Perché è lì che sta il passato che imprigiona la Rai impedendole la cittadinanza nel futuro. Il resto sono pinzillacchere e affabulazioni digitali, circa nuove televisioni, pseudo eventi sanremesi, “tv di qualità” vs “successi di pubblico”, “dobbiamo riconquistare i giovani”, eccetera eccetera. Basta avere presente, per capire la centralità della riorganizzazione delle strutture informative, che dal sistema di vasi comunicanti della azienda e del bilancio Rai, se non rimetti in circolazione la mano morta che proprio in quelle strutture si è nei decenni sedimentata, non salteranno mai fuori le risorse, cioè i centinaia di milioni, necessari per sviluppare il ruolo di pivot della industria audiovisiva e, in definitiva istanza, il protagonismo culturale senza i quali non si capisce perché il canone se ne stia acquattato nella bolletta della luce.
Risultato? Gli amministratori – immaginiamo anche in vista della firma della nuova Concessione calendarizzata nelle prossime settimane – hanno già cominciato a battere cassa per ottenere di poter servire le nuove Virtù (ce n’è sempre qualcuna da sventolare) senza disturbare i Vizi di sempre. Botte piena e moglie ubriaca: una nitida worst practice (un pessimo esempio) esibita a un Paese impegnato, si spera con più capacità e miglior fortuna, a sgusciare dal suo passato per non svenirci dentro.