Se il ruolo delle lobby è sempre più strategico anche agli occhi dell’opinione pubblica, la piena trasparenza dei processi decisionali diventa un diritto di tutti i cittadini. Purtroppo spesso ignorato. Rispetto all’Unione europea, l’Italia è molto indietro e da Bruxelles arrivano spunti interessanti. Sono 10mila, infatti, le organizzazioni iscritte nel registro per la trasparenza dell’Unione istituito nel 2008. Il 59% di esse si sono registrate negli ultimi tre anni. Nonostante i suoi limiti, questo strumento permette di conoscere tutte le strutture che, anche indirettamente, hanno lo scopo di influenzare le politiche e i processi decisionali delle istituzioni europee. Per questo l’osservatorio civico Openpolis ha pubblicato il dossier Vedo e non vedo nel quale, partendo da pregi e difetti del registro, fa un’analisi sul livello di trasparenza del mondo delle lobby. Nel Parlamento italiano non esiste un registro ad hoc, ma in questo caso non siamo gli ultimi della classe. Da uno studio di aprile 2016 redatto dal servizio di ricerca del Parlamento europeo risulta che nell’Unione solo sei Paesi su 28 ne hanno uno obbligatorio: Austria, Irlanda, Lituania, Polonia, Regno Unito e Slovenia.

UN REGISTRO DELLE LOBBY IN ITALIA: A CHE PUNTO SIAMO – “In Italia la situazione è abbastanza statica – spiega Openpolis – e solo negli ultimi mesi due iniziative hanno mosso un po’ le acque”. Il 26 aprile 2016, infatti, la giunta per il regolamento di Montecitorio ha approvato la regolamentazione dell’attività di rappresentanza di interessi alla Camera. “Il testo – rivela l’osservatorio – è stato introdotto pochi giorni dopo l’adozione del codice di condotta dei deputati, ma ormai da mesi mancano dettagli su come sia stato sviluppato”. Il regolamento approvato dalla Camera prevede, ad esempio, l’impossibilità di fare lobbying a chi ha ricoperto incarichi nel governo o in Parlamento nei 12 mesi precedenti. A inizio settembre, poi, Carlo Calenda, ministro per lo Sviluppo economico, ha lanciato un registro per la trasparenza nel suo dicastero, ispirato a quello delle istituzioni europee. Oltre 130 organizzazioni si sono già accreditate. Nel frattempo in Parlamento sono stati presentati vari testi per regolamentare la materia “finora bloccati più che altro dalla mancanza di volontà politica”, spiega Openpolis. A inizio settembre, in commissione Affari costituzionali del Senato sono ripresi i lavori con la discussione congiunta di alcuni di questi. Ad oggi, però, la materia non è disciplinata.

GLI INTERGRUPPI PARLAMENTARI – Ma c’è un altro aspetto da considerare. In Italia ci sono soggetti che di solito nemmeno sono inclusi tra i “portatori di interesse”. È il caso degli intergruppi parlamentari (sconosciuti ai più), la cui azione non è regolamentata in nessun modo. “Queste entità mettono insieme politici provenienti da entrambi i rami del Parlamento e da vari gruppi”, si spiega nel rapporto, “anche di opposto colore politico, uniti da un interesse comune che può essere il più disparato: c’è un intergruppo per l’invecchiamento attivo, uno per la sussidiarietà, uno sulle questioni di genere”. In Italia non c’è un registro degli intergruppi parlamentari, a differenza di quanto succede al Parlamento europeo. “La materia non è regolamentata, ci sono molte zone d’ombra – spiega il rapporto – ed è quindi difficile capire quale sia la portata (e il significato) del fenomeno”. Da fonti indirette Openpolis ha contato 26 intergruppi attivi alle Camere.

IL REGISTRO EUROPEO – Anche su questo tema il Parlamento europeo fornisce molti spunti interessanti. “Le organizzazioni che si accreditano nel registro per la trasparenza – spiega il rapporto – devono dichiarare se appartengono o partecipano all’attività degli intergruppi dell’europarlamento, e se sì, quali sono”. Il registro per la trasparenza dell’Unione esiste dal 2008, ma l’iscrizione è volontaria e non obbligatoria e manca un vero controllo sulle informazioni inserite. Da mesi alcune organizzazioni, tra cui Alter-Eu e Transparency International, si battono per rinnovare e potenziare questo strumento. Eppure la crescita delle organizzazioni iscritte è costante: si tratta per lo più di ong o lobbisti interni di aziende e associazioni di categoria. Oltre il 60% ha sede in Belgio (20,10%), Germania (12,64%), Regno Unito (10,96%), Francia (10,05%) e Italia (7,29%).

Nel frattempo Transparency International ha lanciato Integrity watch, piattaforma che permette di monitorare e analizzare tutti i dati sia del registro sia degli incontri della commissione europea “per capire la reale dimensione delle organizzazioni accreditate e il lavoro realizzato con le istituzioni europee”. I dati interessanti sono due: la quantità di permessi per accedere all’europarlamento e il numero di incontri con i membri della Commissione europea.

LE ORGANIZZAZIONI ITALIANE – Tra le strutture italiane con più accrediti c’è, al 32esimo posto della classifica generale, Confindustria, seguita da Enel, Fondazione banco alimentare, Federazione nazionale imprese elettrotecniche ed elettroniche, Intesa Sanpaolo e Confcommercio. Un altro limite del registro è che le organizzazioni che decidono di accreditarsi spesso compilano male il questionario, inserendo dati errati e mal interpretando le informazioni richieste. Un esempio riguarda da vicino l’Italia. A oggi l’organizzazione italiana che spende più soldi per l’attività di lobbying a Bruxelles, stando alle informazioni fornite, sarebbe l’Università de L’Aquila, con 10 milioni di euro (una cifra molto alta se si considera che Confindustria ne dichiara 900mila), mentre l’ente con più lobbisti – stando al registro – risulta l’Università di Pavia con 1.904 persone. Per quanto riguarda, invece, gli incontri con i membri della Commissione, le organizzazioni italiane che hanno partecipato al maggior numero sono Confindustria, Enel ed Eni. “Il tema dell’energia – spiega Openpolis – è dunque quello più caldeggiato, tanto che in classifica ci sono anche Edison, Snam e Terna, tutte aziende attive nel campo energetico”.

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