Il primo firmatario: "Siamo davanti a un business di 35-40 milioni di euro l’anno che dal 2001 a oggi ha fruttato oltre mezzo miliardo a un ristretto numero di soggetti. Con troppe irregolarità. E senza alcun controllo"
Carte false. Statisticazioni fasulle. Firme mancanti. Ispezioni-farsa. Emigranti derubati per comprare orologi di lusso o mantenere le amanti. E perfino ipotesi di “condotte penalmente o contabilmente rilevanti” per chi non ha controllato e represso i possibili illeciti, cioè il ministero del Lavoro. C’è di tutto, e anche di più, nel dossier che Giuliano Poletti si ritroverà sulla scrivania al ritorno delle vacanze: un esposto alla procura della Repubblica di Roma e alla Corte dei Conti contro il suo ministero e contro il sistema estero dei patronati. E’ datato 14 dicembre e reca in calce 27 firme, quasi tutte di pensionati italiani residenti in Svizzera e relativi familiari. Ossia le vittime della truffa messa in atto da Antonio Giacchetta, il direttore del patronato Inca-Cgil di Zurigo che tra 2001 e 2009 si è intascato 12 milioni, i risparmi e le pensioni di 36 emigranti, agendo “con grande egoismo e senza il minimo scrupolo”. Parola del tribunale distrettuale di Zurigo, che il 16 settembre 2015 lo ha condannato a 9 anni di galera e al risarcimento delle vittime.
“Le vittime, in realtà, non hanno mai visto un centesimo”, spiega Marco Tommasini, presidente del Comitato Difesa Famiglie e firmatario dell’esposto insieme al padre Roberto, derubato di tutti i suoi risparmi. “L’Inca Svizzera, condannata a rifondere il danno, ha chiuso i battenti
e ha riaperto sotto un altro nome, negli stessi uffici e con lo stesso personale. L’Inca-Cgil Italia si è chiamata fuori. Ma continua a incassare finanziamenti per l’attività elvetica”. E il ministero del Lavoro? “Non ha vigilato, non ha controllato, non ha mosso un dito malgrado il comportamento sospetto di Giacchetta fosse stato ampiamente segnalato”.
Così i truffati hanno prima intentato una causa-pilota contro Inca-Cgil e ministero (la sentenza è prevista per il prossimo luglio), poi hanno imbracciato l’artiglieria pesante: l’avvocato che li sostiene, Pasquale Lattari, prima di Natale ha consegnato un poderoso dossier a Procura e Corte dei Conti. E’ la prima volta che i patronati italiani finiscono così clamorosamente sotto accusa.
MECCANISMO POCO SVIZZERO – “Siamo davanti a un business di 35-40 milioni di euro l’anno che dal 2001 a oggi ha fruttato oltre mezzo miliardo a un ristretto numero di soggetti. Con troppe irregolarità. E senza alcun controllo”. Il primo firmatario dell’esposto è Antonio Bruzzese, 72 anni, ex Fiom, ex Cgil, ex responsabile dell’Inca in Argentina. Uno che conosce i meccanismi dall’interno e li ha spiegati non solo al Cdf di Tommasini ma anche al Cqie, il Comitato per gli italiani all’estero del Senato: “I beneficiari del business sono sempre gli stessi: Inca-Cgil, Inas-Cisl, Ital-Uil ed Acli si spartiscono i finanziamenti pubblici praticamente senza concorrenza. E pur di gonfiare i rimborsi taroccano sistematicamente i registri e le pratiche, si inventano prestazioni inesistenti, fanno avere pensioni italiane a cittadini stranieri che non hanno alcun diritto. Le ispezioni del ministero sono passeggiate all’estero con tanto di accompagnamento da parte dei carabinieri. Ci sono sempre annunci preventivi”.
VIGILANZA ZERO – Il Cqie, presieduto dal senatore Claudio Micheloni (Pd), per due anni ha indagato sul funzionamento dei patronati all’estero. E dopo decine di audizioni e sopralluoghi in giro per il mondo nel marzo 2016 ha votato all’unanimità una relazione pesantissima. I senatori sono stati indecisi, fino all’ultimo, se consegnarla direttamente in Procura o affidarla a una possibile commissione parlamentare d’inchiesta. Nel dubbio non hanno fatto niente e il loro j’accuse, peraltro pagato dai contribuenti, è rimasto a far la polvere in Senato per mesi. Se oggi è arrivato magistrati è solo grazie ai pensionati di Zurigo, che dopo averlo letto si sono convinti che la truffa messa in atto da Giacchetta sia stata resa possibile proprio dall’ignavia del ministero. Che da anni, nelle sue relazioni al Parlamento (secondo la legge 152 del 2001 dovrebbe trasmetterne una all’anno, ma finora ne ha consegnate solo otto), lamenta “molte criticità” ma non ha mai fatto niente per combatterle.
LA BURLA DELLA ISPEZIONI – “A Zurigo, dove si è verificato il caso della truffa ai pensionati, ci sono state due ispezioni tra il 2001 e il 2008 e gli ispettori inviati dal ministero non hanno rilevato alcuna anomalia”. I senatori del Cqie lo hanno messo nero su bianco. La legge prevede controlli annuali alle sedi estere, ma tra 2008 e 2012 ne sono state fatte appena 159, “una media di 4 paesi l’anno su più di 20 paesi e circa 476 sedi di patronato”. In pratica, il ministero paga ai patronati all’estero 35-40 milioni l’anno a scatola chiusa, fidandosi delle autocertificazioni dei patronati stessi. E’ come chiedere all’oste se ha il vino buono. E per il ministero, che si mette in tasca circa 400mila euro l’anno per la sua ipotetica attività di vigilanza, è buono tutto, scrivono i senatori: “pratiche non finanziabili” o “con mandato di patrocinio irregolare, o prive di patrocinio, o con documentazione mancante o insufficiente”.
PIÙ SOLDI PER TUTTI – “Una truffa sistematica”, assicura Bruzzese. Che in una lettera al presidente del Senato Pietro Grasso ha usato una definizione ancora più preoccupante: “Trattasi di un robo (furto in spagnolo), voce del verbo rubare”. Tanto, paga pantalone. Ossia i lavoratori italiani. È dai versamenti obbligatori all’Inps, all’Inail e all’Ipsema che il ministero prende lo 0,199 per cento (fino al 2015 era lo 0,226) per finanziare il lavoro dei patronati. Di quello 0,199 per cento, il 9,90 per cento va ai patronati all’estero (e lo 0,10 al ministero per i famosi controlli). E non parliamo di bruscolini, visto che il Cqie certifica che per i patronati abbiamo speso 391,5 milioni nel 2015 e altri 314 nel 2016. Il business è ormai talmente lanciato che le sedi, soprattutto all’estero, nascono come funghi. Negli ultimi anni la Ital-Uil ha aperto ben 41 sedi solo in Germania, di cui 17 nel solo distretto di Francoforte e 13 in quello di Friburgo.
NON SVEGLIATE IL MINISTRO – Le prime segnalazioni sul caso Giacchetta sono arrivate in via Veneto tra 2008 e 2009. Governo Berlusconi IV, ministro Maurizio Sacconi, risultati zero. L’arresto, il processo e la condanna di Giacchetta sono entrati nella storia durante i governi Monti, Letta e Renzi, nella totale indifferenza dei ministri Elsa Fornero, Enrico Giovannini e Giuliano Poletti.
Non che ci sia stata maggiore attenzione sul resto. Il ministro Poletti, davanti all’indagine del Cqie che ha fatto a pezzi l’operato dei suoi funzionari e uffici, non si è neanche presentato in audizione al Senato. Idem il direttore generale del ministero che ha competenze sui patronati, Concetta Ferrari. Unico segno di vita, la circolare n. 18 con cui a maggio 2016 il ministero ha fissato paletti più rigidi per la “statisticazione” (l’autocertificazione) delle pratiche da parte dei patronati. In pratica, il riconoscimento che per 15 anni è stato permesso ogni raggiro.
EMIGRATI E MAZZIATI? – Cosimo Covello, classe 1945, da Acri (Cs), è andato via dall’Italia giovanissimo e non è tornato più. La sua pensione se l’è rubata Giacchetta, e lui adesso è in causa con l’Inca e con il ministero per riavere i 302.312,39 euro depredati, più gli interessi e i danni. È il firmatario numero 8 dell’esposto. Il numero 3 è Roberto Tommasini, classe 1942, da Lamon (Bl). Emigrato a 17 anni, nel 1959, ha fatto il muratore e l’operaio. Oggi è pensionato e vittima dell’Inca, come Covello. Insieme, i due hanno visto arrivare in Svizzera la nuova generazione di emigranti, “quei giovani che il ministro Poletti è tanto contento di levarsi dai piedi”. E insieme hanno firmato l’esposto: perché emigrati, questa volta, non faccia rima con derubati e mazziati. “Non vogliamo che la nostra storia si ripeta”.