“Quel giorno avevo dialogato con tanti giovani che si stanno impegnando per realizzare le loro aspettative nel nostro paese” e “ho risposto in modo sbagliato alla domanda” dei cronisti sulla fuga dei cervelli. Si è trattato di una frase “molto lontana dal mio pensiero, dalla mia storia personale e dal mio modo di agire”. Così si è giustificato il ministro del Lavoro Giuliano Poletti nell’informativa all’aula del Senato sulle sue affermazioni del 19 dicembre, quando parlando dei giovani che lasciano l’Italia per cercare lavoro all’estero disse: “Non è che qui sono rimasti 60 milioni di pistola. Conosco gente che è andata via e che è bene che stia dove è andata, perché sicuramente questo Paese non soffrirà a non averli più fra i piedi”.
A dicembre “ho sostenuto che non è giusto affermare che quelli che lasciano il nostro paese siano migliori di quelli che rimangono”, ha ricordato il ministro davanti a un’aula gremita a cui però ha parlato da banchi del governo vuoti, senza altri ministri ad affiancarlo. “Constatato il mio errore, ho considerato mio dovere scusarmi subito. Scuse che confermo in quest’aula. Tuttavia già a conclusione della frase incriminata avevo espresso in maniera più chiara il mio pensiero”. Quel giudizio sui cervelli in fuga ha scatenato forti polemiche, con le opposizioni che da allora chiedono le dimissioni dell’ex numero uno di Legacoop e hanno presentato sia a Montecitorio sia a Palazzo Madama mozioni di sfiducia nei suoi confronti non ancora calendarizzate.
“I giovani che vanno all’estero sono una risorsa importante”, ha ritrattato dunque Poletti. “A tutti dobbiamo dare l’opportunità di realizzare il loro futuro nel nostro paese o dove li portano i loro percorsi professionali e personali”. Poi però ha ammesso che di opportunità in Italia non ce ne sono poi molte, visto che “la disoccupazione giovanile resta su livelli preoccupanti, anche se dal marzo 2014 è diminuita di 3,5 punti” e le prospettive “sono state fortemente compromesse dalla grande crisi iniziata nel 2008″. “Con il Jobs Act però sono stati aboliti contratti con forti caratteristiche di precarietà“, ha sostenuto. “Ora è aperta riflessione sull’utilizzo dei voucher. Colgo l’occasione per ribadire che il governo considera necessaria una revisione di questo strumento per riportarlo alla funzione per cui era stato disegnato, cioè dare copertura copertura previdenziale e assicurativa a prestazioni occasionali, per portarle fuori dal lavoro nero“. Come è noto, l’abolizione dei buoni lavoro da 10 euro diventati la nuova frontiera del precariato è oggetto di uno dei tre quesiti referendari promossi dalla Cgil, sulla cui ammissibilità la Corte costituzionale si esprimerà mercoledì 10 gennaio. Così ora il governo Gentiloni annuncia ulteriori modifiche, anche se già lo scorso settembre l’esecutivo Renzi ha varato un “decreto correttivo” che evidentemente, come profetizzato dai sindacati, non ha sortito gli effetti annunciati.
“Attorno alle mie dichiarazioni”, ha lamentato infine Poletti, “insieme a una comprensibile e giustificata polemica politica, sui social media si è scatenata una campagna di insulti e minacce che non solo ha coinvolto me, ma anche mia moglie e mio figlio”, Manuel Poletti, che in un’intervista a Il Fatto Quotidiano aveva difeso le dichiarazioni del padre e aveva detto di non sentirsi privilegiato per il fatto che il giornale da lui diretto, Setteserequi, riceve contributi pubblici. “Ringrazio tutti quelli che hanno espresso solidarietà per questi episodi”, ha concluso il ministro, “che al di là del disagio non trovano alcuna giustificazione e allarmano per il clima di tensione che creano e nulla hanno a che vedere con critiche e contestazioni anche aspre che si mantengano nell’ambito di una contestazione civile e rispettosa“.