“Non allontaniamo un minore dalla famiglia perché ha un atteggiamento effeminato. Noi non facciamo discriminazioni di natura sessuale o di tendenza. Il nostro interesse riguarda il comportamento complessivo di un minore se presenta o meno difficoltà”. La presidente del Tribunale dei Minori di Venezia, Maria Teresa Rossi, interviene dopo le polemiche sull’allontanamento di un tredicenne padovano da casa, che è stato affidato a una comunità, non solo perché rifiuta i contatti con il padre (dopo un’inchiesta per abusi e un’assoluzione per insufficienza di prove), ma perché l’adolescente manifesterebbe un comportamento “effeminato”. E’ proprio questo l’aggettivo usato nella motivazione del decreto di allontanamento, basato su segnalazioni dei servizi sociali e su perizie tecniche. Parole che hanno suscitato la reazione della madre che con il suo avvocato sostiene sia stata attuata una discriminazione, che incide anche sulla sfera dell’orientamento sessuale di una personalità in fase evolutiva.
La notizia ha suscitato molte reazioni, proprio per questa specie di “etichetta” che è stata – almeno formalmente – utilizzata dal lessico giuridico. Ma l’interpretazione discriminatoria viene respinta dal presidente del Tribunale che spiega che la procedura di monitoraggio è iniziata sei anni fa e non può essere liquidata con un solo aggettivo.
Il punto di partenza di questa vicenda dolorosa è la dichiarazione di decadenza “di entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale”. E’ stata la madre del ragazzino a denunciare il padre per abusi, ma il processo si è concluso con una assoluzione per insufficienza di prove, anche se secondo l’avvocato Francesco Miraglia di Modena, che assiste la donna, “nella sentenza si dice che non si ha motivo di dubitare dei fatti raccontati dal bambino”. Fu però verificata la sua impossibilità a rendere testimonianza. La Procura ordinaria ha impugnato in Corte d’appello. Il ragazzino da allora rifiuta di incontrare il padre. Nella decadenza è però coinvolta anche la madre. La causa? La donna, imprenditrice, e le altre figlie, entrambe laureate, essendo l’unico punto di riferimento personale, avrebbero inciso sulla “effeminatezza” dell’adolescente. Così hanno messo nero su bianco i servizi sociali che hanno seguito il ragazzo e avrebbero individuato nella donna la responsabilità del “comportamento oppositivo” del ragazzo verso il padre.
Traendo spunto anche dal fatto che il ragazzino non vuole avere rapporti con il padre, il Tribunale dei minori ha emesso nel marzo 2014 un primo provvedimento di allontanamento. L’adolescente è rimasto durante il giorno in una struttura, seguito da operatori nell’attività scolastica e nel tempo libero. Sono stati loro a far partire la segnalazione per i servizi sociali, che hanno interessato il Tribunale. Ne è scaturito un secondo provvedimento, con convocazione di entrambi i genitori in udienza per la prossima settimana.
I passaggi controversi sono contenuti nella relazione dei servizi sociali, riprese dal decreto del Tribunale datato 18 novembre 2016 che segnala “problematiche relazionali profonde e segnali di disagio psichico”. E aggiunge, con riferimento al minorenne: “Il suo mondo affettivo risultava legato quasi esclusivamente a figure femminili e la relazione con la madre appariva connotata da aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale, tanto che in alcune occasioni era andato a scuola con gli occhi truccati, lo smalto sulle unghie e brillantini sul viso. Emergeva poi un forte conflitto di lealtà con la madre”. Secondo la donna il fatto sarebbe accaduto alcuni anni fa, quando il bimbo frequentava le elementari, e fu solo una mascherata per Holloween. Intervistata dal Mattino di Padova ha aggiunto: “In ogni caso per me anche se fosse omosessuale non sarebbe certo un problema”.
Ma ci sarebbe anche un “disturbo di personalità”. Scrivono i giudici: “Nella relazione con i pari e gli adulti è aggressivo, provocatorio, maleducato, tende a fare l’eccentrico. Tende in tutti i modi ad affermare che è diverso e ostenta atteggiamenti effeminati in modo provocatorio”. Basta questo per un allontanamento? Il ragazzino non vuole lasciare madre e sorelle, il suo mondo di amicizie, ma il Tribunale ribadisce la “necessità di permettere a… un funzionamento differenziato rispetto a quello materno e di avere uno spazio che gli consenta di incontrare i suoi pensieri ed i suoi desideri con conseguente percorso di revisione del suo mondo interno così come oggi lo percepisce”. Ma perché non tenerlo in famiglia? “Il lavoro terapeutico non risulta possibile nel contesto familiare attuale in quanto non vi sono genitori in grado di sostenere attivamente una psicoterapia del ragazzo. E’ necessario che il ragazzo possa essere libero da condizionamenti e consapevole della necessità di un lavoro su se stesso”.
Dura la reazione dell’avvocato Miraglia. “E’ un decreto razzista, è scandaloso che si allontani un ragazzino solo per l’atteggiamento effeminato. Questa è pura discriminazione”. “Faremo mettere a verbale che i giudici si assumono una responsabilità grave e potrebbero rispondere di eventuali conseguenze negative. Non sappiamo quale sia l’orientamento sessuale del minore. Ma il problema ancora più grave è che non esistono comunità che possano accogliere un ragazzino che potrebbe essere omosessuale. E se arriva con la nomea di essere omosessuale? Non rischiamo di trasformarlo in un ragazzino a rischio suicidio?”.
Il presidente del Tribunale, Maria Teresa Rossi, replica. “Non allontaniamo un minore dalla famiglia perché ha un atteggiamento effeminato. Noi non facciamo discriminazioni di natura sessuale o di tendenza. Il nostro interesse riguarda il comportamento complessivo di un minore se presenta o meno difficoltà. Noi non abbiamo preconcetti relativi alle tendenze legate alla sfera sessuale. Ogni provvedimento che limita la responsabilità genitoriale è legato a una visione complessiva che riguarda l’adeguatezza o meno dei genitori a svolgere il proprio ruolo e la tutela del minore, che è il nostro interesse primario”.