I dati carpiti dai pc infettati dal virus spedito dai due fratelli arrestati a Roma venivano inviati a 4 indirizzi in cui si erano già imbattuti gli inquirenti di Napoli. Seguendo le tracce informatiche fino ai server locati negli Usa, gli uomini della Polizia postale sono riusciti a trovare un collegamento tra le mail e i due indagati. Anche se, precisa il Gip, "allo stato un collegamento con altri procedimenti penali non è dimostrato"
C’è un labirinto di nomi e rimandi a recenti vicende giudiziarie nell’inchiesta che ha portato due fratelli romani in carcere con l’accusa di aver depredato, con sofisticati attacchi informatici, dati e informazioni a uomini potenti del mondo della politica, degli affari, delle istituzione e anche della massoneria. Nelle 47 pagine in cui il gip di Roma Maria Paola Tomaselli tratteggia la storia dei fratelli Giulio e Francesca Maria Occhionero – preconizzando un’accusa di spionaggio – in una nota a piè di pagina 8 si manifestano un nome e un’altra indagine che solo cinque anni fa aveva svelato l’esistenza di un sistema di intelligence parallelo che i pm di Napoli avevano battezzato P4. In quel processo Luigi Bisignani, classe 1953, patteggiò un anno e sette mesi. Il faccendiere, il cui nome compariva negli elenchi della P2 e che fu perquisito durante l’indagine Why Not, viene citato dal giudice perché i dati carpiti dai pc infettati dal virus spedito dai due indagati venivano inviati a quattro caselle di posta @gmail (purge626@gmail.com, tip848@gmail.com, dude626@gmail.com e octo424@gmail.com) in cui si erano già imbattuti gli inquirenti di Napoli senza riuscire a risalire alla sorgente. Uno di questi “sarebbe collegato a operazioni di controllo da parte di Luigi Bisignani nei confronti dell’onorevole Papa (il cui indirizzo risulta spiato anche in questa inchiesta, ndr) e delle Fiamme Gialle nell ambito dell inchiesta relativa alla P4″.
Ora i quattro indirizzi riaffiorano. Seguendo le tracce informatiche fino ai server locati in Minnesota (Usa), gli uomini della Polizia postale sono riusciti a trovare un collegamento tra le mail e i due fratelli. “Nello specifico tali indirizzi sarebbero stati riconducibili ad un attività di esfiltrazione di dati e dossieraggio illecito – spiega il gip – effettuata con modalità del tutto analoghe a quelle utilizzate dal malware oggetto del presente procedimento. Da quanto narrato sinora si evince chiaramente come pur essendo stato riscontrato in pregresse vicende giudiziarie l’utilizzo del medesimo malware in precedenza non era mai stato possibile risalire al suo reale utilizzatore. Tuttavia erano già evidenti indizi gravi, precisi e concordanti che a utilizzare negli anni l’EyePiramid e i suoi aggiornamenti fosse stata sempre la medesima persona“. Come fanno gli inquirenti a dirlo? Basandosi sulla “circostanza che il codice fosse stato sempre lo stesso, con la logica conseguenza di poter ritenere che il malware fosse gestito nel tempo dalla stessa persona od organizzazione. In altre parole – ragiona il gip – si deve ritenere che l’acquirente della licenza MailBee utilizzata all’interno del codice malevolo corrispondeva alla persona che in questi anni gestiva il malware e ne aggiornava nel tempo le diverse versioni”. Una suggestione forse perché in ogni caso, precisa il giudice, “allo stato un collegamento con altri procedimenti penali non è dimostrato“.
La prima ipotesi è che i due indagati, che con una sorta di grande rete informativa pescavano a strascico dati e informazioni da soggetti eterogenei (tra gli spiati troviamo anche la sede della Cgil di Torino e la Facoltà di Lettere dell’Univerità di Napoli), utilizzassero il bottino dei loro furti per rivenderlo. “L’analisi dei singoli episodi ricostruiti nel presente procedimento mostra chiaramente che non si tratta di condotte isolate ma di un modus operandi dei due indagati che per anni – argomenta il giudice – hanno gestito i loro affari e interessi economici e personali secondo le descritte modalità illecite”. Eppure gli indizi raccolti in altre inchieste lasciano più che intuire che il caso svelato dalla Polizia “non sia un’isolata iniziativa dei due fratelli ma che, al contrario, si collochi in un più ampio contesto dove più soggetti operano nel settore della politica e della finanza secondo le stesse modalità…” per “interessi illeciti oscuri” . Come avvenuto appunto nell’inchiesta P4 e anche Why Not. Chi o cosa abbia unito il sistema di intelligence parallelo scoperto a Napoli o il coacervo di associazioni segrete, pubblici funzionari infedeli, pezzi di Stato deviati all’epoca svelato a Potenza sarà con ogni probabilità il prossimo passo dell’indagine.
Eppure il filo da seguire sembra essere sempre lo stesso, quello che porta un gruppo di potere trasversale all’ombra ancora una volta di un massone. Tra le tante suggestioni di quest’inchiesta una certezza c’è: Giulio Occhionero, l’ingegnere nucleare che sin dal 4 ottobre aveva cominciato a cancellare dati e account dal suo pc, è membro della loggia Paolo Ungari – Nicola Ricciotti Pensiero e Azione di Roma “della quale – scrive il gip – in passato ha ricoperto il ruolo di maestro venerabile, parte delle logge di Grande Oriente d’Italia”. Quando nel 1981 il nome di Bisignani viene trovato negli elenchi della P2 in casa di Licio Gelli a Castiglion Fibocchi per gli inquirenti l’allora 28enne giornalista sarebbe stato un reclutatore, un colonnello. Nonostante fosse il più giovane dell’intero elenco. Gherardo Colombo, il pm che scoprì quella lista, lo collocò nella categoria degli inquinatori, uomini sconosciuti ma potentissimi che hanno trascorso anni a influenzare indisturbati la vita democratica della Prima Repubblica.
Interpellato dal FattoQuotidiano.it Bisignani sembra stupito: “Non ho la più pallida idea di chi siano questi giorni. Non li ho mai sentiti prima. Quella mail non è mai comparsa nell’inchiesta. Forse c’era una mail che riguardava un avvocato. Ma io sono totalmente ignorante in informatica. Non ho neanche il pc, uso un iPad“.
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