Facciamo un salto indietro al 1975. Messi in condizioni critiche dalla guerra del Vietnam (finita nel 1971), gli Stati Uniti compiono un’operazione epocale: tolgono la garanzia sul dollaro (golden dollar, ndr), che equivaleva a 35 Us$ per ogni oncia d’oro. Le ragioni apparenti erano presto dette: per pagare i propri debiti il governo americano doveva stampare parecchi dollari di carta: e c’era – e forte – il rischio che gli Stati sovrani corressero a convertire quella carta in oro.

Ma la vera ragione era che le aziende militari, finite le ricche commesse per il Vietnam, reclamavano ordini per ricerca e produzione, che naturalmente andavano pagati. Tutto questo perché la linea politica secondo la quale gli Usa erano titolati a fare da gendarme per il mondo non era affatto cambiata. C’era anche un accordo segreto fra Usa e Arabia Saudita fondamentale per la vita e il potere americano nel mondo: tu, Arabia Saudita, vendi petrolio nel mondo, fattelo pagare sempre e soltanto in Us$; io, Usa, ti garantisco protezione militare incondizionata e ovunque. Questo accordo dava vita al petrodollaro che sostituì – alla grande – il golden dollar di vecchia memoria senza garanzie in oro.

A questo punto tutto collimava alla perfezione: le forze armate americane continuavano a disporre di una potenza che non aveva pari al mondo; la ricerca per nuove armi e mezzi continuava; le società militari producevano materiali e profitti; il dollaro americano continuava ad essere la più apprezzata moneta di riserva e di transazione internazionale del mondo; il governo americano poteva disporre di liquidità per ogni fabbisogno senza rischi.

Questa politica è andata avanti fino a quasi tutta la seconda presidenza Obama.

Qualcosa ha cominciato a scricchiolare quando gli Usa, cercando di rendersi il più possibile indipendenti dal petrolio estero, hanno spinto per lo shale-oil. E ancora di più quando il Fondo monetario internazionale ha ammesso la moneta cinese Yuan-renbinby al rango di moneta di riserva costringendo l’Arabia Saudita ad infrangere il vecchio accordo accettando come moneta di pagamento per le vendite di petrolio alla Cina. Questo quadro nuovo denuncia nitidamente un declino del dollaro Usa e un declino del potere americano nel mondo a favore della Russia di Putin.

Tra qualche giorno salirà al potere Donald Trump. Finora ha detto:
– l’America deve tornare forte;
– dobbiamo por mano a un gigantesco problema di recupero ambientale del suolo Usa;
– la Cina ci è nemica e dobbiamo difenderci;
– dobbiamo ridurre le tasse;
– dobbiamo difendere la forza del dollaro.

Nessun piano di sostituzione del petrodollaro ma solo una politica di riavvicinamento a Putin. Qualcosa non quadra: o Trump dispone di una bacchetta magica oppure qualcuno deve rinunciare a parte del proprio potere. Dico la mia: se Trump tiene fede alla principale delle sue promesse (ridurre le tasse), tenuto conto del crescente accordo con Putin, si dovrebbero levare mugugni – e non da poco – da parte del mondo militare. Qualcuno potrebbe dire che questi militari hanno collezionato batoste gravissime pur con un potere deterrente enorme e unico al mondo: se così accadesse, una delle fondamentali forze di sostegno al potere finanziario delle big banks americane crollerebbe, l’arma fondamentale per la diffusione di Stati fantoccio nel mondo crollerebbe e con questa anche il potere finanziario Usa.

Se invece il neopresidente rinunciasse ad abbassare le tasse, il suo gradimento sociale sprofonderebbe.

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