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Marocco, vietata produzione e vendita del burqa: “Messo al bando perché criminali l’hanno usato per mascherarsi”

Secondo quanto riportato da una fonte a Il Fatto Quotidiano, il nuovo corso di Rabat sembra aver riscosso consenso anche negli ambienti vicini al governo italiano, che già nell'ultimo rapporto stilato dal Ministero dell'Interno sull'Islam poneva il problema di una formazione adeguata degli imam come centrale nella lotta alla radicalizzazione

Nonostante non ci sia ancora nessuna conferma da parte delle autorità locali, la notizia è circolata in diversi siti di informazione ed è stata ripresa da diverse agenzie internazionali e il provvedimento con cui il governo marocchino vieta la produzione e la vendita del burqa per ragioni di sicurezza sarebbe effettivo già da questa settimana. Una mossa che sembra aggiungere un nuovo tassello all’opera di istituzionalizzazione dell’Islam portata avanti a suon di riforme dal re marocchino Mohammed VI. Ma che, secondo molti analisti, celerebbe soprattutto un nuovo modello politico.

Il burqa è l’indumento che copre interamente viso e corpo ed è indossato prevalentemente in Afghanistan. In Marocco la maggioranza delle donne veste l’hijab, indumento che nasconde il capo ma lascia scoperto il viso. Il velo integrale è diffuso tra i salafiti – ovvero chi osserva una versione più conservatrice dell’Islam – ma anche in questi casi, in Marocco, le donne vestono prevalentemente il niqab (velo che lascia scoperti solo gli occhi) e non l’indumento afghano. L’eco suscitato dal divieto, insomma, sarebbe assai più ampio rispetto alla nicchia alla quale si rivolge. E forse era proprio questo lo scopo che il governo marocchino si prefiggeva, oltre alla necessità di prevenire eventuali attacchi terroristici.

«Abbiamo preso la decisione di proibire l’importazione, la produzione e la vendita del burqa in tutte le città del paese», ha spiegato al portale di informazione Le360 un alto officiale del Ministero degli Interni marocchino, aggiungendo che «diversi criminali hanno usato questo capo per mascherarsi per questo abbiamo deciso di metterlo al bando». Secondo un altro sito, Media24, a Casablanca alcuni ufficiali del Ministero degli Interni avrebbero già comunicato con una circolare il nuovo provvedimento ai commercianti mentre a Taraoudant, nel sud del Paese, le autorità locali avrebbero concesso 48 ore di tempo a tutti i negozi per terminare il commercio dei capi.

Al momento il governo non ha vietato l’utilizzo del velo integrale nei luoghi pubblici, così come fatto da alcuni Stati europei come la Francia o il Belgio, ma da tempo re Mohammed VI e gli ulema (esperti di scienze religiose) a lui vicini, mostrano la volontà di volersi proporsi anche in campo internazionale come punto di riferimento dell’Islam moderato. Il monarca (che nel Paese rappresenta anche l’autorità religiosa) in un discorso pronunciato lo scorso agosto ha chiesto infatti ai marocchini residenti all’estero, circa 5 milioni, di restare fedeli «alle proprie tradizioni secolari e alla loro religione» per contrastare l’avanzata dell’Islam radicale. Nel 2015, inoltre, è stato inaugurato l’istituto Mohammed VI per la formazione degli imam. Tra gli studenti ci sono anche imam europei, elemento costituisce grande prestigio per le autorità marocchine che mirano a esportare nel mondo il modello di un Islam locale dialogante e cosmopolita.

La prima fase dell’ambizioso progetto ha avuto luogo, in realtà, in Africa centrale. Dopo aver creato lo scorso anno la Fondazione degli ulema africani, il sovrano marocchino ha visitato il Rwanda, la Tanzania, il Senegal, l’ Etiopia e la Nigeria presenziando all’inizio dei lavori per la costruzione di nuove moschee e portando delle copie del Corano stampate in Marocco. A livello interno, inoltre, la monarchia ha avviato una riforma dei testi scolastici mentre la Rabita Mohammadia, associazione di ulema che ha come obiettivo quello di promuovere l’Islam moderato, ha pubblicato sul suo sito dei quaderni scientifici che tramite l’esegesi delle scritture religiose demoliscono i precetti religiosi utilizzati dall’Isis per giustificare le violenze perpetrate contro i civili nel califfato e nei loro attentati. Secondo quanto riportato da una fonte a Il Fatto Quotidiano, il nuovo corso di Rabat sembra aver riscosso consenso anche negli ambienti vicini al governo italiano, che già nell’ultimo rapporto stilato dal Ministero dell’Interno sull’Islam poneva il problema di una formazione adeguata degli imam come centrale nella lotta alla radicalizzazione.

«Il Marocco può esercitare l’Islam moderato come mezzo diplomatico perché al momento è rimasto immune dagli attentati», conferma Iolanda Guardi, docente all’Università di Milano e esperta di teologia musulmana femminista. «Inoltre, il paese ha da sempre una politica di amicizia con diversi paesi europei tra cui l’Italia e si può proporre da paese arabo come interlocutore credibile con il mondo occidentale per quanto riguarda la lotta all’estremismo».