Un bambino, che è corretto oramai definire ragazzo avendo 13 anni, è stato allontanato dalla famiglia materna a Padova. E, il 10 gennaio, quasi tutta la stampa si è scatenata nell’attaccare i giudici con titoli come “tolto alla madre perché ‘troppo effeminato‘”. Ma la realtà pare diversa e assai più seria.

Premesso come, nel nostro ordinamento, oramai sempre di più sovrastato dalle tante decisioni della Corte europea dei Diritti dell’uomo (Corte Edu), l’interruzione della vita familiare debba avvenire solo in circostanze eccezionali e per motivi di particolare gravità, altrimenti dovendo preservarsi sempre il diritto sancito dall’art. 8 Cedu (‘Diritto al rispetto della vita privata e familiare’), che racchiude in sé come uno scrigno i diritti (a mio avviso fondamentali) come quelli della genitorialità e della bigenitorialità. Decisioni che hanno visto primeggiare l’Italia tra i paesi condannati appunto per la violazione dell’art. 8 Cedu, in spregio a questi diritti.

Nella fattispecie occorre partire proprio dalle dichiarazioni rese dalla presidente del Tribunale dei Minori di Venezia, Maria Teresa Rossi: “Non allontaniamo un minore dalla famiglia perché ha un atteggiamento effeminato. Noi non facciamo discriminazioni di natura sessuale o di tendenza”. L’allontanamento del tredicenne, affidato ora a una comunità, è stato deciso anche perché rifiuta i contatti con il padre. A monte, un’inchiesta, 6 anni fa, per presunti abusi sessuali e un’assoluzione per insufficienza di prove, anche se nella sentenza si dice che “non si ha motivo di dubitare dei fatti raccontanti dal bambino”, sostiene l’avvocato. Il ragazzino da allora rifiuta di incontrare il padre. Inoltre, secondo il decreto di allontanamento basato su segnalazioni dei servizi sociali e perizie tecniche, l’adolescente manifesterebbe anche un comportamento “effeminato”. La madre e il suo avvocato ritengono si tratti di valutazioni basate su una discriminazione sessuale.

Pur non conoscendo l’intera vicenda occorre segnalare come queste dinamiche possano ricadere nei casi di cosiddetta “alienazione genitoriale”, in cui l’allontanamento brusco (e alienante) avviene appunto attraverso una denuncia così infamante (in gran parte dei casi vengono archiviate perché infondate), ma tale da interrompere i rapporti familiari per anni, alimentando nella presunta vittima il meccanismo del cosiddetto “pensatore indipendente”, il quale (è convinto e) si convince che l’abuso sia stato realizzato ovvero che vi sia un genitore mostro abusante, ovviamente da allontanare e respingere.

Nel caso in esame dopo anni convulsi interviene la dichiarazione di decadenza “di entrambi i genitori dalla responsabilità genitoriale”. Non sappiamo perché un provvedimento così grave abbia investito il padre, ma sappiamo che quanto alla madre, i servizi sociali ne hanno individuato la responsabilità del “comportamento oppositivo” del ragazzo verso il padre. Paiono dunque emergere i tratti di una condotta alienante. In questi casi tuttavia, come noto, la decisione da prendere è quella di sottrarre il minore dal genitore alienante consegnandolo al genitore alienato, anche dosandone con gradualità il reinserimento affettivo.

I passaggi controversi della relazione dei servizi sociali, riprese dal decreto del Tribunale del 18 novembre 2016, evidenziano “problematiche relazionali profonde e segnali di disagio psichico” in quanto “il suo mondo affettivo risultava legato quasi esclusivamente a figure femminili e la relazione con la madre appariva connotata da aspetti di dipendenza, soprattutto riferendosi a relazioni diadiche con conseguente difficoltà di identificazione sessuale, tanto che in alcune occasioni era andato a scuola con gli occhi truccati, lo smalto sulle unghie e brillantini sul viso. Emergeva poi un forte conflitto di lealtà con la madre”. Ci sarebbe anche un “disturbo di personalità” poiché “nella relazione con i pari e gli adulti (il ragazzino, ndr) è aggressivo, provocatorio, maleducato, tende a fare l’eccentrico. Tende in tutti i modi ad affermare che è diverso e ostenta atteggiamenti effeminati in modo provocatorio”.

Siamo dunque al cospetto di una crisalide alla quale viene impedito di trasformarsi in farfalla, secondo un processo coercitivo che ha estromesso uno dei due fondamentali punti di riferimento genitoriale? Altro che mera effeminizzazione o discrimininazione sessuale.

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