Sotto forti pressioni, isolata dopo la presa di distanza di Cisl e Uil e attaccata da più fronti, compreso quello del Pd, soprattutto dopo il caso dell’utilizzo dei voucher da parte dello Spi di Bologna. In questo clima la Cgil si prepara al verdetto della Corte Costituzionale, che si riunirà in camera di consiglio per valutare i referendum abrogativi, presentati dal primo sindacato italiano insieme alla proposta di legge di iniziativa popolare Carta dei diritti universali del lavoro. Due dei tre quesiti riguardano il Jobs Actchiedono la cancellazione dei voucher e un nuovo reintegro in caso di licenziamento illegittimo, ripristinando l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abolito proprio con la riforma Renzi-Poletti. Il terzo quesito, invece, ritoccando la legge Biagi (poi modificata dalla riforma Fornero) mira all’eliminazione delle norme che limitano la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante, in caso di violazioni nei confronti del lavoratore.

Il referendum
I referendum sono stati pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale il 23 marzo, mentre il 9 aprile è iniziata la raccolta di firme a sostegno della legge di iniziativa popolare e della consultazione. A luglio la Cgil ha depositato in Corte di Cassazione oltre 1,1 milioni di firme per ciascuno dei tre quesiti. Il 10 dicembre, pochi giorni dopo il referendum costituzionale che ha aperto la crisi di governo, la Cassazione ha dato parere favorevole ai tre quesiti. Oggi è attesa la sentenza della Consulta sulla loro ammissibilità. Di cosa trattano i quesiti?

Articolo 18
L’obiettivo del sindacato è ripristinare la possibilità di essere reintegrati nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo per tutte le aziende al di sotto dei 15 dipendenti e fino a 5, recuperando così “un principio fondamentale” di giustizia sul lavoro. Il quesito dunque chiede di abolire ed estendere la normativa attuale che in caso di licenziamento illegittimo, prevede per i nuovi contratti a tutele crescenti il pagamento al lavoratore di un’indennità che cresce con l’anzianità di servizio, da un minimo di 4 ad un massimo di 24 mensilità. Nel caso ciò avvenga in aziende con meno di 5 addetti il reintegro, chiede ancora la Cgil, non sarà automatico ma a discrezione del giudice e nel caso sarà il lavoratore a scegliere tra un risarcimento congruo o il rientro in azienda.

Voucher
In questo caso la Cgil vuole abrogare i cosiddetti Buoni per il lavoro accessorio, gli assegni da 10 euro lordi, 7,50 euro netti, con cui attualmente si possono pagare un ampio spettro di prestazioni accessorie entro un tetto di 7mila euro l’anno. Strumenti, questi, nati nel 2003 con la riforma Biagi in versione anti-sommerso e circoscritti alle prestazioni di studenti e pensionati, poi ampliati nell’applicazione dal governo Berlusconi nel 2010 fino alla modifica del tetto massimo annuale dal governo Renzi, il cui utilizzo è lievitato in maniera esponenziale soprattutto nel 2015 ma che nel 2016 ha toccato quota 121,5 milioni di assegni venduti, secondo gli ultimi dati Inps. Dati che prefigurerebbero un abuso nel loro utilizzo, il motivo per cui la Cgil ne chiede l’abrogazione: “Le disposizioni di legge hanno consentito un utilizzo di questo istituto improprio ed invasivo, tale da favorire forme incontrollate di precariato”.

Appalti
Obiettivo della Cgil è il ripristino della piena responsabilità solidale in tema di appalti. Il quesito perciò chiede di abrogare le attuali disposizioni di legge con le quali per il sindacato è stata attenuata e vanificata la responsabilità datoriale verso i lavoratori. Nel mirino la legge Biagi, in particolare il decreto legislativo per la “attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro”. Per il sindacato, che vuole così ostacolare eventuali pratiche di concorrenza sleale proteggendo i lavoratori occupati negli appalti e sub appalti coinvolti in processi di esternalizzazione, ci deve essere infatti un’uguale responsabilità, in tutto e per tutto (responsabilità solidale), tra appaltatore e appaltante nei confronti di tutto ciò che succede nei rapporti di lavoro.

Per Palazzo Chigi “referendum inammissibile”
Nel frattempo, l’Avvocatura dello Stato ha depositato tre memorie, una per ciascuno dei quesiti, in cui si ritiene che il referendum “si palesa inammissibile”. Bocciatura per tutti e tre i quesiti, ma il giudizio più duro è quello sulle norme sui licenziamenti, perché l’organo che assiste lo Stato nei procedimenti giudiziari ritiene che il quesito referendario che mira ad abrogare le modifiche apportate con il Job Act all’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori abbia “carattere surrettiziamente propositivo e manipolativo”. In altre parole il referendum non punterebbe solo al ripristino dell’articolo 18, che garantiva il diritto a riavere il posto solo ai lavoratori di imprese con oltre i 15 dipendenti, ma il sindacato di Susanna Camusso vorrebbe estendere il diritto alla reintegra nel posto di lavoro anche ai dipendenti delle aziende con un numero di dipendenti tra 5 e 15. Secondo l’Avvocatura “l’intento dei promotori del referendum è quello di produrre una nuova norma”. La Cgil ovviamente non la pensa così. “Il quesito non è manipolativo”, ha dichiarato in un’intervista a ilfattoquotidiano.it Lorenzo Fassina, responsabile dell’Ufficio giuridico della Confederazione, secondo cui “l’obiettivo è ripristinare le tutele dell’articolo 18 allargandone l’applicazione, è vero, ma applicando una soglia (quella dei 5 dipendenti) che era già prevista dallo Statuto dei lavoratori per le imprese agricole”.

E se l’Avvocatura sostiene che l’eventuale esito positivo della consultazione che riguarda la responsabilità in solido di appaltatore e appaltante nei confronti del lavoratore “condurrebbe ad una condizione di incertezza normativa”, per quanto riguarda i voucher, per l’organo legale dello Stato la loro abolizione creerebbe invece un “vuoto normativo”. Comunque, se sono molte le perplessità in merito al giudizio della Consulta sul quesito che riguarda la reintegra nel posto di lavoro, meno ardua per la Cgil dovrebbe essere la strada per una valutazione positiva degli altri due. Tra l’altro, sui voucher, a fine 2016 il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva già manifestato la volontà del governo di “rideterminarne dal punto di vista normativo il confine dell’uso”. Ma se si rimetterà mano alla riforma, si aprirà un’altra partita: la nuova legge dovrà essere valutata dalla Corte di Cassazione e, in caso risultasse in linea con il quesito in questione, il referendum su questa disposizione cadrebbe.

I voucher dello Spi
Di fatto nel giro di nove anni i voucher sono passati dall’essere considerati uno strumento utile a far emergere il lavoro nero a ultima frontiera del precariato. Nel 2008, anno della loro introduzione, furono staccati 500mila tagliandi, mentre secondo il terzo rapporto Uil sui buoni lavoro il 2016 si è chiuso con un totale di oltre 145 milioni di voucher venduti. Nei giorni scorsi è scoppiato il caso dei buoni utilizzati a Bologna dallo Spi, il sindacato Cgil pensionati, che ha ammesso di usarli per pagare alcuni dei propri volontari. Se da un lato era prevedibile che la bufera si abbattesse sulla Cgil che da mesi, invece, porta avanti una crociata per abolirli, d’altro canto lo stesso segretario regionale dell’Emilia Romagna, Bruno Pizzica, ha spiegato che in provincia di Bologna i buoni vengono utilizzati ma solo “per i pensionati che svolgono prestazioni del tutto occasionali. Si tratterebbe di una cinquantina di volontari, tutti pensionati, che raggiungono una retribuzione di poco più di 100 euro mensili. In pratica in quel caso verrebbero usati per lo scopo esatto per cui sono stati introdotti. Innegabile, in ogni caso, il clamoroso autogoal per la Cgil. Che, per gettare acqua sul fuoco, all’indomani del caso ha prodotto una nota interna per invitare ad evitare di “alimentare fratture nell’organizzazione e nella sua immagine pubblica”. Insomma “minimizzare con la stampa” per “fermare l’enfasi eccessiva” sulla notizia dell’utilizzo dei voucher da parte dello Spi di Bologna. Ma l’effetto primario, e indesiderato, è stato quello di dare nuova enfasi al caso.

Sindacati divisi e fuoco incrociato
Incidenti di percorso a parte, la Cgil nelle ultime settimane ha fatto i conti anche con altro. Perché sul referendum i sindacati si sono spaccati con la Cisl che, ad esempio, è a favore di una modifica del sistema del voucher e non della loro abolizione. E con il segretario Annamaria Furlan che, in un’intervista di pochi giorni fa all’Huffington Post, ha preso le distanze: “Il referendum non è lo strumento migliore per parlare di legislazione del lavoro. Il confronto con le parti sociali credo che possa e debba dare risultati positivi”. Chiara anche la posizione del leader della Uil, Carmelo Barbagallo, che già prima delle vacanze di Natale si era espresso a riguardo: “Bisogna provare a modificare il Jobs Act con i contratti, per noi la strada è la contrattazione”. E sulla consultazione si è mostrato scettico: “Se riusciamo a evitare un’ulteriore lacerante referendum nel nostro Paese è meglio”.

In realtà anche il Pd sulla questione si è diviso. E se un via libera della Corte potrebbe facilitare le elezioni anticipate, facendo il gioco dell’ex premier Matteo Renzi (e facendo slittare lo stesso referendum), l’ultimo attacco è arrivato proprio dalle colonne dell’Unità. Il quotidiano del Partito democratico sabato scorso ha pubblicato un editoriale a firma del direttore Sergio Staino che ha criticato il segretario generale della Cgil, mettendola a confronto con due storici leader, Luciano Lama e Bruno Trentin. “Penso con molto dolore che tu – ha scritto Staino riferendosi a Susanna Camusso – ormai non hai quasi nulla da condividere con loro”. Quindi l’invito a cambiare rotta (“Tu devi imparare a confrontarti con la politica, a dialogare, a contrattare, tenendo il sindacato lontano dalle singole strategie dei partiti”), al quale è arrivata una secca risposta firmata da tutta la segreteria nazionale della Cgil e dai segretari di categoria: “Anche tu dovresti chiederti se l’evidente fallimento delle politiche del rigore e dell’austerità, la sconfitta della teoria che precarizzando il lavoro e riducendo i diritti si sarebbe creata più occupazione, non richiederebbero ad una maggioranza di Governo, che si definisce riformista, un deciso cambio di verso”. Dopo il fuoco incrociato, la parola passa alla Consulta.

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