Secondo gli inquirenti ha sparato diversi colpi di fucile e pistola contro il figlio di un collaboratore di giustizia, poi morto in seguito a una colluttazione. Ma è tornato in libertà a meno di un mese dall’arresto. Il motivo? Come per altri trenta indagati in un’inchiesta della procura di Lecce, il Tribunale del Riesame del capoluogo salentino ha riscontrato una carente motivazione da parte del gip nell’ordinanza di arresto. Così Carlo Solazzo, presunto killer di Antonio Presta, 29enne figlio di un pentito, ucciso il 5 settembre 2012, ha fatto rientro a casa assieme a diversi altri componenti di una presunta cosca della Sacra Corona Unita attiva a San Donaci e Cellino San Marco, nel Brindisino. Per tutti è valido lo stesso motivo: il giudice per le indagini preliminari Vincenzo Brancato non avrebbe motivato in maniera autonoma l’arresto, come previsto dalla riforma delle misure cautelari varata nell’aprile 2015. Nella stesura dell’ordinanza che aveva portato in carcere 58 persone, insomma, si sarebbe appiattito sulle tesi del pm dell’Antimafia leccese Alberto Santacatterina.

Così il Tribunale del Riesame – come già accaduto tra la fine del 2016 e la prima settimana dell’anno nuovo con altri 30 indagati accusati a vario titolo di mafia, armi e droga – ha accolto il ricorso del legale di Solazzo, Stefano Prontera, che al pari degli altri aveva sollevato la questione. L’ultima pronuncia ha riportato in libertà anche il fratello del presunto killer, Pietro, e altri due arrestati, Umberto Nicoletti e Floriano Chirivì. Ma quello di Carlo Solazzo resta il caso emblematico, data l’accusa di omicidio con l’aggravante della premeditazione e della finalità mafiosa “al fine di agevolare l’attività della frangia operante in San Donaci e Cellino San Marco dell’associazione di tipo mafioso Sacra Corona Unita cui egli apparteneva”, aveva scritto il gip nell’ordinanza. Secondo le indagini, il presunto assassino, avrebbe eliminato Presta anche perché questi “aveva sfidato il suo ruolo di vertice e il prestigio criminale entrando con lui in contrasto nel traffico di sostanze stupefacenti, essendo per di più figlio di un collaboratore di giustizia”.

Ma il gip non ha adeguatamente spiegato perché erano necessarie le misure restrittive. Per questo tutti – salvo che non fossero agli arresti a causa di altri procedimenti – hanno potuto far ritorno a casa. Sulla vicenda, già dopo le prime decisioni prese dal Riesame, aveva messo gli occhi il ministero della Giustizia. Da Roma, sono stati inviati a Lecce gli ispettori ministeriali per degli “accertamenti preliminarial fine di comprendere la genesi della svista che ha provocato le scarcerazioni.

Sotto la lente d’ingrandimento degli uomini del guardasigilli Andrea Orlando non ci sarebbe solo l’operato del gip Brancato, ma anche un particolare emerso nel corso di una delle udienze davanti al Riesame. Il pm Santacatterina e il procuratore capo Cataldo Motta, nel frattempo andato in pensione, avanzarono infatti dei dubbi riguardo una prima ordinanza del giudice per le indagini preliminari poiché il testo della misura rischiava di crollare davanti al Riesame. E lo fecero presente a Brancato con una nota, tanto che il gip emise una seconda ordinanza – quella poi eseguita lo scorso 12 dicembre – in sostituzione di una prima, firmata il 3 novembre. Quella nota, poi prodotta dinanzi al Tribunale, è stata definita “inquietante” da alcuni legali poiché il pubblico ministero è una parte del processo penale e il giudice è terzo.

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