Per il ministro non sono state le malversazioni di questi decenni e la cattiva politica a distruggere la fiducia nel sistema bancario, ma il fatto che “a volte si è gettato discredito sull’intero sistema bancario alimentando una non motivata e sbagliata percezione negativa". Ma i fatti vanno in un'altra direzione
Una performance imbarazzante quella del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan al Senato sul cosiddetto decreto Salva Risparmio. Un’audizione condita da banalità di ogni sorta, tra cui l’auspicio che la magistratura faccia presto e che chi ha causato danni alla collettività venga sanzionato, ma sulla situazione reale e concreta delle banche italiane il ministro ha ancora una volta minimizzato, provando a gettare acqua sul fuoco. Insomma, tutto il contrario di un’operazione-verità assolutamente doverosa nel momento in cui lo Stato è costretto a intervenire per evitare il crac di MontePaschi e di altri istituti. Per Padoan “il sistema sta voltando pagina e non è da escludersi che si inneschi un circolo virtuoso – consolidamento bancario, pulizia dei bilanci, ripresa della crescita – che consenta un ritorno alla normalità e una uscita definitiva dalla crisi”.
Insomma, siamo al libro dei sogni, tanto più che per Padoan non sono state le malversazioni di questi decenni e la cattiva politica a distruggere la fiducia nel sistema bancario, ma il fatto che “a volte si è gettato discredito sull’intero sistema bancario alimentando una non motivata e sbagliata percezione negativa del sistema”. Lungi dal fare autocritica per come è stata gestita dal governo e dal Tesoro la vicenda MontePaschi, il ministro ha addirittura affermato dinnanzi ai senatori che “non c’è stato ritardo” nel salvataggio di Mps. Di più: Padoan si è spinto a dire che i mesi persi nella ricerca di un’impossibile “soluzione di mercato” da lui ritenuta “desiderabile e fattibile” non hanno comportato “deterioramenti patrimoniali, non si è persa ricchezza. Si è atteso l’esaurirsi di un’opzione che per me sarebbe stata preferibile”. Peccato che in quei mesi il titolo che è pure quotato a Piazza Affari è crollato ai minimi storici e la fuga dei depositanti ha messo in ginocchio la banca, al punto che la Bce non ha potuto concedere alcuna proroga dei termini per l’aumento di capitale proprio perché in cassa c’era liquidità per appena un mese.
La quantità di ricchezza distrutta da Mps in questi anni e in questi mesi non ha paragoni nell’ambito del sistema bancario italiano e – a differenza di quanto dice Padoan – il problema è che non ha ancora cessato di distruggerla, come mostra il primo, parziale, conto presentato allo Stato per il salvataggio: 8,8 miliardi di ricapitalizzazione anziché 5. Nei prossimi mesi bisognerà vedere poi l’esito dell’ispezione sui crediti condotta dalla vigilanza europea, che potrebbe far lievitare notevolmente la bolletta a carico dei contribuenti. Infine, è opportuno notare che la banca nazionalizzata e risanata dovrà essere ceduta (come ha ricordato lo stesso Padoan in audizione, l’intervento dello Stato è solo temporaneo) e allora vedremo se e quanti dei miliardi profusi dai contribuenti torneranno nelle casse dello Stato. Con il decreto “Salva-risparmio” il governo ha stanziato 20 miliardi di euro ma non è detto che bastino per sistemare le numerose e gravi situazioni di dissesto delle banche italiane, nonostante Padoan si auguri che i 20 miliardi non vengano utilizzati tutti. L’impressione, anche qui, è che i conti siano stati fatti davvero a spanne, nella speranza che non esplodano a breve altre situazioni critiche.
Quanto ai rimborsi ai risparmiatori e, in particolare, al nodo degli arbitrati, il ministro si è limitato a dire che i decreti “che regolano l’arbitrato sono stati trasmessi al Consiglio di Stato che ha reso il parere nei giorni scorsi”. Non una parola su quanto Palazzo Spada ha detto in quel parere, fortemente critico sul testo del provvedimento e in particolare sul fatto che i costi degli arbitrati, ricadendo sul Fondo interbancario, andrebbero a ridurre i ristori a favore degli stessi risparmiatori. Non solo: Padoan è parso anche del tutto disinformato sull’iter del provvedimento che, lungi dal dover essere ancora discusso in consiglio dei ministri, è già stato trasmesso alle commissioni parlamentari competenti per le valutazioni.
Infine, sulla questione della diffusione delle liste dei grandi debitori insolventi delle banche in crisi Padoan ha sottolineato che “ci possono essere questioni di legittimità e legali che non dipendono da me” e che se “in principio penso che la trasparenza sia importante, bisogna fare un ragionamento ampio su come si arriva a identificare comportamenti ‘sfortunati’ e ‘scorretti’ che possono determinare accumulazione di debito”. In sostanza, il ministro non è a favore della pubblicazione di queste liste. Liste che, peraltro, rappresentano solo una faccia della medaglia e nemmeno la più significativa. A questo proposito Giovanni Bianchini, presidente di Lisippo, un’importante associazione di azionisti della Bpm, ha scritto una lettera al presidente dell’Abi Antonio Patuelli rilevando come sia auspicabile che venga diffusa anche “la lista nera dei banchieri e dei manager che hanno deliberato i relativi finanziamenti” e soprattutto come sia necessario sollevare “il problema della trasparenza e della credibilità da parte degli Istituti bancari in sede di rilascio dei piani industriali”. Nella lettera Bianchini ricorda casi clamorosi di “assoluta mancanza di trasparenza”, quali Mps che “rilascia un piano industriale nel novembre 2013 e non dice una parola sulla perdita di esercizio dello stesso anno 2013 di ben 1,4 miliardi di euro”, il piano industriale delle fusione Banco-Bpm “che viene costruito sul risultato di bilancio al 31.12.2015 e traguarda il risultato del 2019 ignorando la pesante perdita del Banco (al 30/9/2016: 1 miliardo al lordo dell’eventuale beneficio fiscale)” e infine “gli incredibili piani industriali della Banca Popolare di Vicenza sia sotto la gestione del presidente Zonin che sei mesi dopo dall’AD Iorio”. Bianchini chiede all’Abi anziché di lamentarsi, di dotarsi “come minimo di un codice etico affinché le associate rispettino i principi di trasparenza, integrità e correttezza nell’informazione, non solo per i prodotti ma anche e soprattutto sui piani industriali”. E le stesse autorità di vigilanza dovrebbero muoversi per far rispettare questi principi, anziché limitarsi a prendere atto di proiezioni astruse ed irrealistiche che vengono spacciate come “piano industriale” da molte banche e società quotate.