La notizia arriva in un momento molto delicato per Sergio Marchionne che non solo punta ad accreditarsi con il nuovo presidente americano, ma deve correre verso l'obiettivo di azzerare il debito del gruppo entro il 2018. In teoria il suo ultimo anno alla guida della casa, che ammette l'uso di strumenti di controllo delle emissioni, ritenedendoli però "giustificati" e quindi a norma. Cnbc: "Rischio sanzione da 4,63 miliardi"
Sergio Marchionne prende subito le distanze dal caso Volkswagen. Ma secondo l’Agenzia per la protezione ambientale americana (Epa) Fca – Fiat Chrysler “ha schivato le regole ed è stata scoperta”, tanto da aver ricevuto una notifica di violazioni del Clear Air Act, ovvero delle norme americane sulle emissioni, su circa 104.000 veicoli. Lo ha fatto sapere la stessa Epa in una nota (LEGGI QUI IL DOCUMENTO), sottolineando che la casa italoamericana potrebbe incorrere in sanzioni civili. Non comunicare l’esistenza di un software che influisce sulle emissioni di un’auto “è una seria violazione delle legge. Tutte le case automobilistiche devono giocare secondo le stesse regole”, ha messo in evidenza l’Epa aggiungendo appunto che “ancora una volta una casa automobilistica ha assunto una decisione per schivare le regole ed è stata scoperta”. I veicoli Fca sui quali sarebbe stato montato il software che consente emissioni diesel più alte degli standard sono i Grand Cherokee e i Dodge Ram modelli 2014-2016. E la notizia arrivata nel tardo pomeriggio di giovedì 12 gennaio, ha affondato il titolo della casa auto che a Milano ha chiuso la seduta con un crollo del 16 per cento a 8,8 euro, mentre a Wall Street ha perso più del 10 per cento.
”Dialoghiamo con l’Epa da più di un anno”, ha commentato Marchionne sottolineando che è curioso e “spiacevole” che l’Agenzia abbia deciso di affrontare il caso così pubblicamente e aggiungendo che l’azienda era stata avvertita mercoledì dell’arrivo di qualcosa in arrivo, apprendendo poi alle 8.00 del mattino locali di cosa si trattava. La notizia è giunta a una manciata di giorni dall’accordo da 4,3 miliardi di dollari raggiunto tra Volkswagen e le autorità americane per chiudere il dieselgate esploso poco più di un anno fa. Ma soprattutto è arrivata in un momento molto delicato per le case automobilistiche che operano negli Stati Uniti che fanno a gara per mostrarsi campioni del Made in Usa al cospetto del presidente eletto Donald Trump che ha minacciato l’imposizione di pesanti dazi alle corporation che spostano la produzione fuori dagli Stati Uniti. Fca è stata tra le prime a farsi sotto, lunedì 9 gennaio, annunciando 1 miliardo di dollari di investimenti negli Usa con 2mila posti di lavoro in più e ricevendo immediati ringraziamenti da parte di Trump.
I buoni rapporti con la presidenza americana, del resto, sono un fattore della massima importanza per Marchionne che fino all’altro ieri non aveva abbandonato l’obiettivo di far convolare a nozze il suo gruppo con General Motors dopo il fallito corteggiamento dell’anno scorso, tanto da sottolineare che l’unione tra le due case potrebbe piacere a Trump. Ma soprattutto, il manager si è impegnato ad azzerare il debito della casa italo americana entro il 2018, chiudendo l’esercizio con 5 miliardi di cassa, 9 miliardi di utile operativo e 5 miliardi di netto, per poi uscire di scena in gloria. E uno scontro sulle emissioni era l’ultima cosa che ci voleva: secondo la Cnbc l’accusa potrebbe costare a Fca sanzioni fino a 4,63 miliardi di dollari. Il calcolo è fatto sulla base di multe unitarie per massimi 44.539 dollari da moltiplicare per circa 104.000 auto. Ma secondo Marchionne, riferisce Bloomberg, Fca sopravviverà anche davanti a una multa di 4,6 miliardi. Anzi, a caldo il manager ha confermato tutti gli obiettivi finanziari del biennio.
“Per quanto conosco questa società, posso dire che nessuno è così stupido” da cercare di montare un software illegale, “noi non siamo quel tipo di criminali”, ha poi aggiunto il manager. Parafrasando quindi un concetto già espresso dalla società in una nota. Dove si legge che la divisione americana di Fca “è contrariata dal fatto che l’Epa abbia scelto di emettere una notice of violation in merito alla tecnologia di controllo delle emissioni impiegata nei motori diesel leggeri da 3.0 litri“, ma che “intende collaborare con l’Amministrazione subentrante per presentare i propri argomenti e risolvere la questione in modo corretto ed equo, rassicurando l’Epa ed i clienti di Fca Usa sul fatto che i veicoli diesel della società rispettano tutte le normative applicabili”.
Fiat Chrysler, che “ritiene che i propri sistemi di controllo delle emissioni rispettino le normative applicabili”, sottolinea poi di aver “speso mesi nel fornire una mole di informazioni all’Epa e ad altre autorità governative e in diverse occasioni ha cercato di spiegare le proprie tecnologie di controllo delle emissioni ai rappresentanti dell’Epa”. La casa ha inoltre “proposto diverse iniziative per risolvere le preoccupazioni dell’Epa, incluso lo sviluppo di estese modifiche del software delle proprie strategie di controllo, che potrebbero essere immediatamente applicate nei veicoli in questione, per ulteriormente migliorarne le prestazioni in termini di emissioni”.
In pratica, la casa automobilistica ammette di avere degli strumenti di controllo delle emissioni, ma sostiene che siano “giustificati” e quindi non violino le regole. E tra chi vuole far luce sul caso, c’è anche il procuratore generale di New York, Eric Schneiderman, che si è detto “molto preoccupato” per le accuse mosse a Fca e assicurà che indagherà: “Indagheremo le accuse mosse contro Fca e siamo pronti a lavorare con le autorità dello Stato e federali per assicurare che ogni violazione sia perseguita secondo la legge”.