Sono passati più di tre anni, ma attorno al ciclone Cleopatra si moltiplicano ancora i fronti giudiziari. Il 18 novembre del 2013 la pioggia intensa devastò il nord ovest Sardegna e fece una strage: 18 le vittime, soprattutto in Gallura (in particolare a Olbia) e nel Nuorese, 2700 gli sfollati. Ma non fu solo un evento inatteso ed eccezionale, la tesi dei magistrati è che dietro le morti e il disastro da milioni di euro ci siano soprattutto errori di progettazione e urbanistici e la mala gestione di un territorio a rischio, denunciata subito dagli “esperti”. In tutto, tra la Procura di Tempo e quella di Nuoro, i filoni di indagine sono 6 (tre da una parte e tre dall’altra)
Ed è la Procura di Nuoro che continua a lavorare su altri tronconi di indagine rispetto all’inchiesta considerata “madre”. Da ieri sono noti 21 indagati nel terzo filone aperto sull’esondazione di un fiume minore, il Sologo, a Galtellì – paese di nemmeno 2500 abitanti – nel Nuorese. Il corso d’acqua prima di trasformarsi in palude aveva travolto un ponte che lo sovrastava: della struttura, lunga poche decine di metri, sono rimasti solo i mozziconi di cemento legati agli argini: via in blocco la parte centrale. Nessuna vittima, per una pura casualità. I capi di imputazione, a vario titolo, sono inondazione, crollo di costruzioni e disastro colposo. L’idea alla base è che ci siano state, appunto, trascuratezza nella pulizia degli alvei, scarsa manutenzione e falle nella progettazione.
Ricostruzione del tutto simile a quella del crollo del ponte di Oloè, a Oliena – sempre nel Nuorese – per questo filone gli indagati sono 34 e a fine gennaio il gup deciderà sul rinvio a giudizio. Lì, per il crollo della campata di un ponte, morì a 40 anni l’agente di polizia Luca Tanzi: la sua auto, che scortava quella sera un’ambulanza, fece un volo di quattro metri. I suoi colleghi uscirono illesi. Fasi processuali distinte per un disastro che si concentra attorno alle opere pubbliche e che vede coinvolti amministratori e dirigenti regionali e del nucleo del genio civile. Il cuore dell’inchiesta della Procura barbaricina – con un processo a carico di 41 persone che si aprirà ad aprile – riguarda infatti un’altra esondazione e un’altra morte: quella della disabile di Torpè, Maria Frigiolini, morta a 88 anni nella sua casa diventata una trappola. A monte del paese lo sbarramento della diga di Maccheronis – tutt’oggi incompiuta, manca il collaudo – fu superato dall’acqua e dal fango, il cui livello arrivò fino ai tetti. L’opera, partita nel 1956, resta ancora oggi sorvegliata speciale ad ogni allerta meteo in Sardegna.
I nomi degli indagati dell’ultimo troncone
L’informazione di garanzia per la conclusione delle indagini preliminari per l’ultimo filone è arrivata, per alcuni a sorpresa, come il sindaco di Galtellì, Giovanni Santo Porcu, che ne ha dato un’anticipazione su Facebook. Lui si dice “Sbalordito”. E ricorda che, all’epoca dei fatti, era stato eletto da appena cinque mesi. In particolare gli si contesta di non aver avviato un controllo tecnico della strada che attraversava il fiume e non aver segnalato il degrado al Consorzio di Bonifica, né di aver richiesto la pulizia dall’alveo. I livelli di responsabilità e competenze si intrecciano nei vari filoni. E non è un caso che Roberto Deriu, ex presidente della Provincia di Nuoro e attualmente consigliere regionale, compaia più volte, anche come imputato. Gli altri nomi resi noti sono due ex assessori provinciali, Franco Corosu e Paolo Porcu, i dirigenti provinciali Antonio Gaddeo e Maria Luicia Frighì, l’ex responsabile della Protezione civile della Provincia di Nuoro Paolo Marras, l’allora comandante regionale della Forestale Carlo Masnata, la dirigente dello stesso Corpo Anna Maria Pirisi e il comandante provinciale Gavino Diana, oltre ai dirigenti del Consorzio di Bonifica della Sardegna centrale Antonio Madau, Ignazio Lampis e Sebastiano Bussalai.
Le 3 inchieste galluresi
Per le vittime in Gallura – 13 in totale – molte a Olbia, alcune in auto trascinate via dalla corrente sono stati aperti tre diversi filoni di inchiesta dalla Procura di Tempio Pausania. Uno, il principale, è già arrivato in fase dibattimentale e sono imputati – oltre a tre funzionari comunali – anche Gianni Giovannelli, ex sindaco di Olbia, e Alberto Ragnedda, ex sindaco di Arzachena, dove morì un’intera famiglia bloccata in un seminterrato. Per tutti le accuse sono omicidio colposo, disastro ambientale e mancata attivazione delle procedure d’allerta.
C’è un altro troncone relativo ad altre morti, tra cui quella della piccola Morgana (aveva 2 anni), indagati due ex assessori e sei dirigenti: contestate omissioni, mancate progettazioni proprio sul caso di quei canali, in gran parte tombati, praticamente esplosi sotto la furia dell’acqua. Nello specifico sono contestate negligenze a vario titolo: omissioni, progettazioni e mancati lavori. Non solo, l’accusa per i due ex assessori riguarda l’aver ignorato uno studio – consegnato nel 2011 – e che non è stato inserito nel Piano di assetto idrogeologico.
Caso a parte, infine, la strada simbolo dell’alluvione: quella di Monte Pino, sempre in Gallura, dove morirono in tre. Lì – la voragine che taglia in due una strada provinciale – è rimasta identica dopo tre anni, nonostante le polemiche e nonostante la procedura “d’urgenza” avviata per il ripristino. Il processo ha sei imputati tra cui i tecnici dell’ex provincia di Olbia-Tempio, nonché i professionisti come l’ingegnere Antonio Zuddas che stilò il collaudo tecnico. Sono rimasti su solo i guard rail, una sottile copertina d’asfalto, con sotto il vuoto, con la terra rossa che continua ad andar via ad ogni pioggia, a far da sfondo.