Quello “in grembiule” è un mondo che conosco davvero poco (mia nonna Bigina ne aveva uno, ma lo adoperava per cucinare) ma so che gli intrecci del nostro pianeta si annodano molto spesso con personaggi appartenenti a logge o aggregazioni misteriose. Probabilmente chi frequenta certi ambienti si alimenta (come i vampiri con il sangue) di dati e notizie che garantiscano la supremazia dell’informazione.
Sapere, sapere prima, sapere qualcosa in più, sapere qualcosa d’altro: questa è la forza di chi vuole rompere gli equilibri o crearne di nuovi, approfittando di un patrimonio conoscitivo che assicuri una posizione di vantaggio.
Considerato, però, che certe associazioni possono contare tra i “fratelli” tanti personaggi di spicco nelle istituzioni e nelle Forze Armate e di Polizia, sembra bizzarro che non si avvalgano proprio dei loro affiliati che – tra l’altro – sono debitori della loro carriera alla cerchia cui hanno aderito e che in qualche modo dovranno pur sdebitarsi con contributi di adeguato calibro.
E allora perché rivolgersi ai pur “volenterosi” signori Occhionero?
L’ombra della massoneria – così dicono e scrivono i “ben informati” – aleggia sulla scena.
L’ingegner Occhionero a quanto pare è affiliato alla Loggia 773 “Paolo Ungari – Nicola Ricciotti Pensiero e Azione”, da non confondersi (ho cominciato a documentarmi!) con la quasi omonima Loggia numero 1498 “Pensiero e Azione” il cui maestro venerabile comunicava via Facebook e i cui elenchi e documenti sono stati trovati il 5 marzo scorso in un cassonetto dei rifiuti davanti agli uffici del dipartimento regionale all’Energia di viale Campania a Palermo.
Il Grande Oriente d’Italia – casa madre della massoneria italiana e, come si legge sul relativo sito, “iniziatico i cui membri operano per l’elevazione morale e spirituale dell’uomo e dell’umana famiglia” ha formalmente “sospeso” l’Occhionero riconoscendo l’appartenenza del soggetto al sodalizio.
Probabilmente accumulare dossier riservati era propedeutico all’acquisizione di ruoli sempre di maggior caratura nell’ambito dell’organizzazione cui l’ingegnere aveva aderito: l’informazione come freccia nella propria faretra, come merce di scambio, come strumento di potere.
Molto più facilmente la collezione dei dati poteva avere una destinazione commerciale. Mi spiego meglio.
Chi intraprende queste avventure (anche e soprattutto chi lo fa senza farsi accalappiare) opera a scopo di lucro: agisce su specifica istanza di qualche cliente, confida in una futura committenza da soddisfare con immediatezza, non esclude nemmeno dinamiche estorsive in danno di chi ha qualcosa da nascondere. Questa vasta gamma di possibile impiego di dati tesaurizzati ci porta per mano dinanzi al baratro in cui è sprofondata la nostra privacy.
Non ci troviamo dinanzi a due presunti “fenomeni” (Giulio e Francesca Maria), ma al solo effettivo e preoccupante fenomeno della “data collection” che conta migliaia di persone tra i suoi appassionati. La speranza di “rivendere” quel che si è scovato in maniera più o meno lecita trasforma le ricerche in attività compulsive. E se qualcosa non lo si trova in Rete (la cosiddetta “Open Source Intelligence” è disciplina di grande efficacia), l’aspirante “dominus” della conoscenza globale non esita a contattare chi ha a disposizione un terminale collegato a una banca dati giudiziaria o investigativa. La catena di favori e cortesie (prezzolate e non) e di piccole manovre sottobanco qualifica il livello della partita in corso, in cui farebbero capolino anche operatori di polizia pronti a sgraffignare qualche informazione nei database dell’ufficio (incuranti del fatto che ogni loro azione è rigorosamente tracciata).
I fratelli Occhionero sono la prima pattuglia che viene catturata, ma in campo c’è un intero esercito di mancati detective che somigliano ai tanti che vanno a giocare alla guerra nei boschi con il “softair” magari dopo essere stati “obiettori di coscienza” in età di leva. Internet è la giungla in cui vietcong digitali vanno autonomamente a caccia di nemici, sentendosi bravi e importanti per esser riusciti ad utilizzare trappole e ordigni virtuali e aver accumulato prede.
I mercenari della guerra alla riservatezza personale prima o poi riusciranno a vendere il loro scalpo a chi ne farà richiesta. Basta aspettare.
Le “radiografie” dei singoli individui pescati anche a strascico non ingialliscono mai.