L'ingegner Maria Teresa Brotto, indagata e arrestata nel giugno 2014 per l'inchiesta sugli appalti del Mose, si era accordata in sede penale per pagare 600mila euro. Poi aveva ricevuto il ben servito dal Consorzio Venezia Nuova, ma ha contestato il licenziamento davanti al giudice del lavoro, che le ha dato ragione
Aveva patteggiato due anni e mezzo per corruzione e doveva pagare 600mila euro, ma in sede civile ha diritto ad averne più del doppio di quella multa per essere stata licenziata ingiustamente. È la paradossale vicenda che coinvolge l’ingegner Maria Teresa Brotto, indagata e arrestata nel giugno 2014 per l’inchiesta sugli appalti del Mose, il sistema di dighe anti-acqua alta di Venezia. La donna era all’epoca il braccio destro di Giovanni Mazzacurati, numero uno del Consorzio Venezia Nuova (Cnv), al quale erano affidati in concessione i lavori alla barriera idraulica del Mose e la connessa bonifica di Porto Marghera. Accusata di essere anche lei partecipe di un sistema corruttivo aveva raggiunto un accordo con la procura poi accolto dal giudice.
A gennaio 2015, per effetto di quel patteggiamento, arrivò la lettera di licenziamento da parte di Cnv. Ma Maria Brotto l’ha contestata davanti al giudice del lavoro di Venezia. E il magistrato Anna Menegazzo le ha dato ragione: “La sentenza di patteggiamento per il reato di concorso in corruzione non è sufficiente a giustificare l’avvenuto licenziamento”. L’ingegnere dovrà avere 1,3 milioni di euro di risarcimento: dodici mensilità (da 27mila euro lordi al mese) per il mancato preavviso e altre venti di indennità supplementare. Così il combinato delle due sentenze diventa paradossale: da un lato il Cnv, che lavora con soldi pubblici, ha intascato 600mila euro da Maria Brotto, dall’altro le dovrà versare più di un milione.
“Il Consorzio ha detto: ti licenziamo perché hai patteggiato e dunque hai ammesso le tue responsabilità. Noi abbiamo replicato che il patteggiamento non è un’ammissione di responsabilità”, racconta l’avvocato Maria Luisa Miazzi al Corriere della Sera. Una decisione, quella di patteggiare, che Maria Brotto spiega così: “Ero agli arresti domiciliari e non potevo permettermi il lusso di rimanere a casa di mia madre, malata terminale”. In ogni caso, questa vicenda mette in luce i problemi legati all’istituto del patteggiamento. La Procura di Venezia ha ricordato come le imputazioni a carico dell’ingegnere erano avvalorate da intercettazioni e testimonianze. Per il giudice del lavoro Menegazzo l’accusa di corruzione non basta. Intanto il Consorzio Venezia Nuova ha annunciato ricorso in appello.