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Poste Italiane, per la Corte dei Conti troppe consulenze esterne e troppe eccezioni in affidamento appalti

Nella determinazione sui risultati 2015 del gruppo di spedizioni, la magistratura contabile ha riscontrato la presenza di 37 milioni di euro di spese di comunicazione, ben 28 milioni in più rispetto all’esercizio precedente. Oltre a un aumento delle consulenze per 5 milioni per un totale di 21 milioni. Nonostante l'organico di 612 dirigenti

Troppe consulenze esterne per Poste Italiane. E troppe eccezioni nelle procedure di affidamento degli appalti. Proprio mentre arrivano i nuovi aumenti per raccomandate e assicurate, la Corte dei Conti bacchetta il gruppo di Francesco Caio per aver speso molto in comunicazione e consulenze. Un tema dolente per Poste, al centro di un’interrogazione dell’Italia dei Valori che ha chiesto conto al Mise e al Tesoro di una commessa da 12 milioni affidata per il biennio 2014-2016 alla Boston Consulting Group. La stessa società oggetto di polemiche anche per il suo recente coinvolgimento nella definizione della Strategia energetica nazionale

Nella determinazione sui risultati 2015 di Poste, la magistratura contabile ha riscontrato, infatti, la presenza di 37 milioni di euro di spese di comunicazione, ben 28 milioni in più rispetto all’esercizio precedente. Non solo, la Corte ha anche registrato un aumento delle consulenze per 5 milioni (21 milioni in totale). “La spesa complessiva sostenuta nell’anno per dette collaborazioni, si riferisce principalmente alle consulenze dedicate al processo di privatizzazione e ad attività di natura tecnico specialistica” precisa la determinazione 128, appena pubblicata e datata 13 dicembre 2016. Tuttavia l’andazzo non è cambiato dopo lo sbarco in Borsa: “Il ricorso a collaborazioni esterne è rimasto significativo anche successivamente al processo di quotazione, tanto che le stime aziendali, anche per l’anno 2016, fanno riferimento all’esigenza di avvalersi di prestazioni professionali al di fuori dalle competenze interne per la realizzazione di progetti di trasformazione aziendale”, si legge nel documento.

L’azienda guidata da Francesco Caio ha inoltre fatto largo uso di appalti “estranei e esenti” (425 atti per un totale di 163,5 milioni) che, pur rispettando le regole nazionali ed europee, dovrebbero rappresentare un’eccezione perché al di fuori dell’ “applicazione delle regole codicistiche” sugli appalti pubblici nei settori speciali. “L’utilizzo di dette forme di affidamento, che incide per il 13 per cento sulla spesa sostenuta nell’anno, risulta in crescita rispetto al 2014 quando era contenuta nell’8 per cento dell’importo complessivo – riferisce la determinazione – (…) In merito alle tipologie contrattuali più ricorrenti in tale ambito, si segnalano i contratti di servizi, alcuni perfezionati anche da strutture territoriali, contratti di collaborazioni professionali esterne all’azienda e a contratti relativi alla comunicazione”.

Dal canto suo, Poste giustifica il ricorso agli appalti “estranei o esclusi” come una necessità dettata dall’esigenza di rispondere “efficacemente e tempestivamente alle sollecitazioni del mercato in aree specifiche caratterizzate da rilevanti dinamiche competitive”. Tuttavia per la Corte “resta fermo che è necessario che venga favorito quanto più possibile il confronto competitivo tra operatori economici al fine di tutelare il rispetto dei principi di economicità ed efficacia ed assicurare l’applicazione delle norme poste a tutela della libera concorrenza”. Ad ogni modo, per invertire la rotta, come si legge nel documento, il vertice aziendale di Poste ha richiamato la struttura ad un’attenta “pianificazione del ricorso a collaborazioni esterne, limitandolo solo ai casi di imprescindibile necessità e dopo che sia stata accertata l’impossibilità di farvi fronte con il supporto delle risorse interne”. Risorse imponenti: Poste può infatti contare su un organico 612 dirigenti (fra cui anche il fratello del ministro Angelino Alfano), inclusi i 52 manager di prima linea assunti nel 2015. Uno staff dirigenziale che gestisce oltre 139mila dipendenti e che costa all’azienda 180 milioni l’anno, per un valore medio unitario di 294mila euro. Fermo restando che i compensi del top management non sono certo uguali a quelli dei direttori di filiale.